Gli effetti di quasi due anni di pandemia sono evidenti e documentati giorno per giorno. Pesanti le conseguenze dal punto di vista sanitario, economico, produttivo e sociale, inteso soprattutto come propensione alla socialità, alla condivisione e alla partecipazione del singolo alla vita pubblica.
La ricerca
Ad aprile 2021, l’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza ha diffuso i risultati della ricerca sulla partecipazione dei cittadini in attività sociali, condotta da Demos & Pi per Fondazione Unipolis, che ha portato alla luce aspetti per certi versi allarmanti: dalla fine del 2019 a oggi varie forme di partecipazione hanno subito un vero e proprio crollo.
Le persone che dichiarano di aver preso parte ad attività in associazioni culturali, sportive o ricreative sono il 29%. A dicembre 2019, prima della diffusione della pandemia, erano il 50%.
Manifestazioni e attività politica
L’analisi indaga anche la partecipazione ad eventi legati a problematiche territoriali della realtà urbana di appartenenza (iniziative di quartiere o cittadine), che ad aprile 2021 sono arrivate a mobilitare appena il 20% della popolazione, contro il 38% di dicembre 2019. Ancor più evidente la scarsa partecipazione dei cittadini a manifestazioni pubbliche di protesta, che passa dal 23% al 9%, e soprattutto l’adesione a manifestazioni politiche e di partito (dal 20% all’8%).
Una lettura interessante del fenomeno la offre Fausto Bertinotti, che in un articolo pubblicato sul Riformista a maggio scorso, ha definito questo atteggiamento come “una piccola rivoluzione passiva”, dove la condizione emergenziale ha portato i governi ad assumere un ruolo decisionista, con il tacito consenso dei cittadini e dei loro rappresentanti.
Una “eutanasia della politica”.
Il cittadino smette di sentirsi protagonista: non reputa più fondamentale partecipare in prima persona, forte di una presunta consapevolezza di incapacità di incidere in qualcosa che considera più grande di lui. Stessa inadeguatezza che riscontra nei soggetti attraverso cui dovrebbe concretizzarsi la partecipazione del singolo alla res publica: i partiti, pressoché spettatori nella gestione della fase emergenziale e più intenti a riposizionarsi in vista di una futura condizione post-pandemica.
Volontariato nell’emergenza
Eppure, storicamente, è proprio nelle condizioni di emergenza che l’impegno altruistico dei cittadini tende a non mancare. E l’emergenza Covid non sembrava fare eccezione: le prime mobilitazioni di volontari sono iniziate con le prime “zone rosse” nei comuni lombardi a febbraio 2020. Un volontariato perlopiù spontaneo, incoraggiato dalle urgenze, come la distribuzione di generi alimentari, farmaci e beni di prima necessità a beneficio di concittadini impossibilitati dalla nuova situazione a provvedere al proprio fabbisogno.
Con la diffusione della pandemia, l’incremento delle restrizioni e l’inizio del lockdown, tali esperienze si sono diffuse in tutta la penisola per assumere forme di volontariato organizzato. Sono nate vere e proprie reti di associazioni per garantire interventi mirati e qualificati. Sono state stipulate convenzioni con gli enti pubblici, soprattutto con i Comuni, che hanno messo in campo forme di aiuto quali buoni spesa. Un fermento capillare e variegato, anche se limitato nei numeri.
Anche il Servizio Civile Universale, dopo un’iniziale sospensione delle attività, ha seguito un piano di riattivazione che ha portato alla rimodulazione dei progetti per garantire interventi a supporto dell’emergenza: alla data del 16 aprile erano già 23.575 i giovani tornati in servizio, il 76% del totale, dato che ha visto un progressivo incremento nei mesi successivi, con 27.031 in servizio al 15 maggio, 29.822 al 15 giugno, 32.628 al 15 luglio, pari a oltre il 96% del totale.
Per arrivare infine al ruolo delle associazioni di volontariato nella campagna vaccinale, con molti hub, soprattutto nei piccoli centri, che possono contare unicamente nei volontari per i servizi di accoglienza, accompagnamento e aiuto nella verifica della modulistica e della documentazione degli utenti.
Il ruolo del singolo nella società
È in questo scenario che gli Enti di Terzo settore sono chiamati a intraprendere un’opera di coinvolgimento tale da riportare al centro l’azione del volontario.
Emblematica in quest’ottica la campagna pubblicitaria per la raccolta del 5 per mille lanciata da Anpas. A fronte dei tanti spot a cui siamo da sempre abituati, in cui gli enti fanno a gara per evidenziare i risultati ottenuti e le opere compiute grazie alle firme dei contribuenti sulle proprie dichiarazioni dei redditi, l’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze lancia il messaggio di un sostegno diretto ai volontari e alle volontarie che sono “entrati nelle case per dare aiuto”, che abbiamo “sentito passare per prestare soccorso”, che hanno suonato “i citofoni per portare farmaci e beni di prima necessità”.
Il messaggio è chiaro: ogni azione è possibile grazie all’impegno e alla capacità di chi la attua. Il cittadino necessita di riscoprire il proprio ruolo all’interno delle comunità, ha bisogno di sentirsi importante in quanto parte di un processo che produce un reale cambiamento nella società. Sono queste le premesse da cui ripartire affinché le analisi dei prossimi anni possano restituirci una comunità che partecipa.