«A causa della pandemia sono stati annullati cinque anni di miglioramenti, graduali ma costanti, nella lotta alla povertà. Grazie anche alla cooperazione internazionale, 50 milioni di persone erano uscite dalla condizione di povertà estrema e con l’arrivo della pandemia ne sono rientrate. Abbiamo reagito cercando di rispondere alle esigenze più concrete, ma le condizioni sono rese più difficili dalle economie fragili di molti Paesi, ora ulteriormente danneggiate». Con queste parole Ivana Borsotto, presidente di Focsiv – Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario va dritta al punto sulla situazione della cooperazione internazionale ai tempi del Covid-19. E sul futuro evidenzia un grosso limite: «Ora più che mai, la richiesta di cooperazione è in aumento, ma è inversamente proporzionale alle risorse messe a disposizione dal nostro governo, in diminuzione. In questo senso, la pandemia ha dato una grande lezione a tutti noi: c’è la necessità di intervenire assieme, come sistema coordinato, per far fronte alle sfide sempre maggiori di questa nuova realtà».
È per questo che Focsiv, insieme all’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI), CINI – Coordinamento Italiano NGO Internazionali e Link 2007, con il patrocinio di Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) e Forum del Terzo Settore, lo scorso 22 settembre ha lanciato una campagna nazionale a sostegno della cooperazione allo sviluppo e, in particolare, della destinazione di una quota delle ricchezze nazionali in aiuti.
«Il 24 ottobre 1970 – afferma – l’Italia ha firmato assieme all’Onu l’impegno a destinare lo 0,70% del reddito internazionale lordo alla cooperazione internazionale. Trovo importante ricordare il fatto che più di 50 anni fa l’Italia e l’Onu avevano già capito e intuito che il mondo si sarebbe fatto più piccolo, più interconnesso. Un impegno politico di grande visione che, però, è sempre stato disatteso. Riuscire oggi ad usare il tema della campagna “070” come occasione per ribadire che la cooperazione è parte integrante della politica estera, è la vera sfida, insieme a quella di rafforzare le nostre reti e ritornare nei territori».
Per Borsotto le sfide della cooperazione non finiscono qui. Intervenendo a Padova, a fine settembre, al Festival Solidaria sul tema dell’evoluzione della cooperazione internazionale, ha focalizzato attorno a tre parole chiave le suggestioni e riflessioni che partono da un’analisi, con luci ed ombre, degli organismi che si occupano di cooperazione internazionale oggi, «perchè – afferma Borsotto – è partendo dalle criticità che si può crescere».
Senso
“La cooperazione, in questo momento, sta vivendo una fortissima crisi di legittimazione, acuita dalla pandemia. Siamo caduti nel terribile tranello di chi vuole mettere gli ultimi contro i penultimi; allora è bastato dire “prima gli italiani” per gettare discredito sul nostro mondo. Evidentemente, però, stiamo sbagliando qualcosa anche noi. Non dobbiamo spaventarci, ma reagire. La prima grande sfida è quella di raccontare e rendere ascoltabile la bontà della cooperazione. Dobbiamo essere capaci di testimoniare le cose che accadono ai nostri progetti, la speranza e la generosità che vediamo nelle comunità in cui operiamo. L’Europa ha bisogno di questo per invertire il senso di paura verso il futuro. La cooperazione internazionale può essere un antidoto a questa paura, a questo senso di minaccia rappresentato da tutto ciò che è “altro” e che porta ad alzare muri e filo spinato».
Fare rete
«Abbiamo un potenziale in termini di collaborazione, co-progettazione, condivisione delle visioni della nostra comunità e del mondo che è praticamente inutilizzato, sia come organizzazioni, che come cittadini. Guardando i nostri organismi dal di fuori, percepisco una grande fatica. È la fatica della mancanza di ricambio generazionale, dei giovani, che facciamo fatica a coinvolgere. È la fatica di reggere economicamente un’associazione. Ma questa fatica diventa una sorta di perimetro invisibile che ci limita. Dobbiamo uscire da certe impostazioni che mortificano le potenzialità di cooperazione che abbiamo».
Democrazia
«Come ONG e associazioni di volontariato abbiamo il dovere di darci dei criteri di qualità democratica. Un organismo deve avere una reale struttura democratica, perché altrimenti non è in grado di fare bene il proprio lavoro. Se non ci misuriamo su questo aspetto all’interno dei nostri organismi, coi nostri soci, coi nostri Consigli Direttivi, se non lo sperimentiamo quotidianamente, non abbiamo voce in capitolo per criticare la politica del nostro Comune, Regione, Governo e dell’Unione Europea. Anche noi, al nostro interno, dobbiamo sperimentarci nella capacità di confronto democratico, spesso messo in secondo piano nel furore di fare cose».