Telmo Pievani, filosofo, evoluzionista, docente di Filosofia delle Scienze Biologiche al Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, ha la grande capacità di riuscire a parlare a tutti, affrontando temi complessi con parole chiare, uno sguardo sorridente e un tono pacato.
Abbiamo imparato a conoscerlo come divulgatore anche in diverse trasmissioni televisive, noi lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata di approfondimento sul legame tra evoluzione e cooperazione, per capire, attraverso il suo punto di vista, quanto c’è di naturale nella solidarietà e nella propensione umana al volontariato.
«Il vecchio stereotipo dell’evoluzione, come lotta e sopraffazione, è ormai superato. Diversi studi hanno permesso di mettere in discussione, una volta per tutte, che l’idea della competizione sia il grande mantra di ogni processo evolutivo e, al contrario, hanno al tempo stesso evidenziato come la cooperazione sia uno dei motori del cambiamento e della produzione di diversità, insieme alle altre strategie evolutive. Nell’evoluzione umana possiamo affermare che la cooperazione è tanto importante almeno quanto la competizione» (al tema è dedicata la mostra «Il dilemma dell’altruismo» in corso al Muse di Trento fino al 3 aprile 2022, ndr). Con l’attenzione, ci spiega Pievani, a non cadere nell’errore di attribuire alla natura giudizi morali. Ciò che è importante riconoscere oggi è che gli stereotipi competitivi basati su idee evoluzionistiche scorrette o mal interpretate in passato hanno giustificato comportamenti umani, come quanto avvenuto a fine Ottocento con il darwinismo sociale, che ha aperto le porte a teorie imperialiste e razziste. «In realtà, gli aspetti solidaristici e altruistici, fanno parte di ciò che ci ha reso unici. L’evoluzione sociale è il grande sentiero che ha reso il nostro cervello così grande, di avere dei cuccioli che crescono lentamente e in un contesto familiare. Ha permesso l’esplosione della creatività e dell’intelligenza simbolica umana. Queste, sono tutte ragioni interessanti per capire che la solidarietà e la cooperazione non sono delle eccezioni in natura, ma sono una strategia vincente».
Ci domandiamo – e domandiamo a Pievani – quindi se questa rinnovata visione sull’evoluzione permette anche di riallacciare un rapporto, da sempre difficile, tra scienze naturali e scienze sociali. «Il dialogo è sempre stato complesso, perché nelle scienze sociali e umane finora c’è sempre stato il sospetto e la paura che si cercasse nella biologia, una giustificazione delle teorie sociali, come, per l’appunto, il darwinismo sociale. Dall’altro lato, anche i biologi e naturalisti hanno sempre visto con sospetto le scienze sociali, perché considerate poco rigorose. Ritengo che sia arrivato il momento di superare queste diffidenze reciproche. Da un lato perché chi studia la biologia non sta parlando del bene e del male, ma sta cercando di descrivere come siamo arrivati fino a qui, dall’altro lato, abbiamo capito che le dimensioni sociale e culturale non sono staccate dalla biologia bensì strettamente intrecciate. Per dirla con una frase a cui tengo molto “siamo culturali per via biologica, ma siamo sempre di più biologici per via culturale”. Il che significa, che siamo immersi in un ambiente culturale, che abbiamo creato noi, che ci fa evolvere, che ci condiziona, che ci trasforma, quindi non ha più senso mantenere questa dicotomia tra biologia e cultura, tra natura e cultura, perché sono dimensioni in relazione tra loro. E se favoriamo il dialogo, riusciamo a spiegare meglio l’essere umano».
Molta parte degli studi di Telmo Pievani si sono concentrati proprio sulla correlazione tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale, arrivando a scoprire che alcune mutazioni genetiche e la stessa forma del nostro cervello sono indotte da cambiamenti culturali. Ce lo spiega con un esempio: «Noi esseri umani, a differenza di tutti gli altri animali, abbiamo due terzi del cervello che cresce dopo la nascita. Abbiamo dei cuccioli che nascono molto deboli, inermi e questo, all’inizio è stato uno svantaggio, è stato un costo bilanciato dall’atteggiamento protettivo e difensivo del gruppo sociale. Abbiamo quindi potuto permetterci un lusso che altri animali non possono o non hanno potuto permettersi, con dei cuccioli che rimangono infanti e adolescenti molto più a lungo. Questo, ha sprigionato delle potenzialità straordinarie, perché nei lunghi anni dell’infanzia il nostro cervello viene letteralmente scolpito e arricchito dalle esperienze che facciamo, dall’educazione, dal gioco, dall’imitazione, dall’apprendimento sociale che imprimono caratteristiche fondamentali per il nostro cervello. Pensavamo, tra l’altro, che questo fosse successo solo nell’evoluzione, quindi nel passato, in realtà abbiamo scoperto che succede nel corso della nostra vita. Per esempio, è stato scoperto di recente che il cervello di persone che hanno imparato a leggere e scrivere in periodo scolastico, rispetto a persone che hanno imparato a leggere e scrivere da adulti o persone analfabete, è biologicamente diverso, non solo culturalmente dissimile. Questo dimostra che un fatto culturale modifica la struttura del nostro cervello, che tra l’altro è anche molto plastico e quindi ha la capacità di riorganizzarsi in modo più flessibile di quanto si pensasse».
Questa è una prova di come un cambiamento culturale può precedere ed incidere su un cambiamento biologico. Un altro esempio classico che ci racconta Pievani è la capacità di molti esseri umani – anche se in realtà si tratta solo di un terzo degli italiani – di digerire il latte anche in età adulta. In questo caso, sono stati l’agricoltura e l’allevamento dei nostri antenati che hanno reso vantaggioso avere una mutazione genetica che permettesse di usufruire del latte vaccino come alimento degli adulti. Fino a qui il legame tra evoluzione e cooperazione e tra evoluzione e aspetti culturali è chiaro, quindi anche la propensione umana alla solidarietà sembrerebbe essere atteggiamento connaturato negli esseri umani. Ma perché, allora, i volontariati intercettano tante persone ma non la maggioranza ed è, anzi, spesso difficile avvicinare le persone ad attività di impegno sociale e solidale? Ci viene il dubbio che siano in qualche modo gli stessi mondi del volontariato ad essere respingenti o, per lo meno, a non sapersi togliere i pregiudizi di cui hanno sofferto anche le teorie evoluzionistiche.
Telmo Pievani non manca di portare il suo contributo anche su questo, basato anche sul suo stesso impegno come obiettore di coscienza e di volontario nel bergamasco, sua terra di origine. «Credo sia necessario che il volontariato si spogli di alcune visioni distorte. Innanzitutto, credo sarebbe utile mettere in discussione la visione del volontariato come suppletivo alle mancanze dello Stato. Una tentazione distorta, perché il volontariato è molto di più e diverso da questo. Sarebbe ideale sviluppare una collaborazione pubblico-privato nella quale lo Stato non rinuncia ai suoi doveri di Welfare ma collabora alla pari con i volontariati in uno sforzo comune. Mai, come in questo momento, dopo l’esperienza vissuta con la pandemia, abbiamo capito quanto possa salvarci il comportamento cooperativo e solidale. Ritengo che questa lezione debba essere compresa una volta per tutte, anche se purtroppo ho dei dubbi. Ho già sentito economisti dire che lo Stato ora deve ritirarsi perché in questi mesi ha occupato troppo le nostre vite. In realtà, ritengo che l’esperienza del Covid-19 ci abbia fatto capire quanto poco Stato ci fosse prima, non quanto ce ne sia stato in eccesso ora. Dobbiamo capire che, se siamo riusciti a venirne fuori, è per l’organizzazione e la solidarietà sociale che c’è stata, soprattutto in Italia, oltre al fatto che anche senza lo Stato non ne saremmo usciti, perché, ad esempio, l’80 per cento delle risorse investite per i vaccini è pubblico».
E c’è anche un’altra visione deformata del volontariato da superare: quella di confondere il volontariato con il buonismo, afferma Pievani. «C’è ancora una visione eroica del volontariato nella quale la persona si sente “buona”, quasi “contro natura” in un mondo fatto di egoismo. In realtà, come emerge da quanto detto finora, gli studi evolutivi ci fanno capire che la solidarietà sociale è l’espressione migliore dell’evoluzione umana. Non è un vezzo di buonismo ma è ciò di cui abbiamo bisogno per uscire dai guai in cui siamo immersi, primo tra tutti la crisi ambientale e le diseguaglianze sociali».
Dialogando con Telmo Pievani non poteva non emergere l’altro suo grande filone di interesse: la crisi ambientale. «È un argomento che si presta ad essere analizzato da più punti di vista, ma vorrei soffermarmi su un aspetto pragmatico. È necessaria e urgente una nuova alleanza uomo-natura, perché la crisi ambientale è una grande crisi sociale che crea enormi diseguaglianze, tra le quali due le ritengo preponderanti. La prima è che i Paesi che stanno pagando – e che continueranno a pagare – sono quelli che non hanno contribuito per niente alla crisi stessa. Sono i Paesi nella fascia equatoriale e del pacifico che non producono emissioni di gas serra, se non infinitesimali. Stiamo quindi facendo pagare a loro il prezzo dei nostri comportamenti. La seconda grande ingiustizia è che chi pagherà l’altro prezzo, quello più alto, sono le generazioni future. Anch’esse non hanno contribuito in alcun modo. Veniamo da secoli in cui abbiamo consegnato ai nostri figli una grande dote, ora consegniamo loro un debito. Tutto questo è un esempio concreto che ci mostra come lo sforzo solidaristico non sia buonismo, ma necessità». Ci vengono in aiuto sul tema, ancora una volta, i mesi di emergenza sanitaria e le discussioni attualissime sui vaccini. «Il discorso pubblico sul piano vaccinale mondiale è basato sull’idea che sia meglio vaccinare la popolazione dei Paesi ricchi e poi donare le dosi avanzate, magnanimamente e paternalisticamente, alle popolazioni dei Paesi più poveri. Deve essere chiaro che questo è un comportamento controproducente, rappresenta una visione “pelosa” della solidarietà che non ha alcun senso, perché, mentre vacciniamo la parte ricca del mondo, il virus, che non guarda in faccia a nessuno, produce varianti e in autunno queste torneranno da noi. Gli effetti saranno meno devastanti grazie al vaccino ma perderemo tempo, soldi e ci saranno altre vittime. Questo, è un esempio della follia antisolidaristica in cui siamo immersi. Un vaccino universale andrebbe distribuito gratuitamente in tutto il mondo perché è giusto e perché conviene a tutti. In questo caso lo sforzo solidaristico è necessario anche per il nostro bene, non solo per quello degli altri. Anche sul tema della solidarietà, dovremmo essere lungimiranti. Lo sforzo solidaristico, in questo e in molte altre situazioni, non può e non deve essere relegato alle organizzazioni non profit o a singoli gruppi e individui. L’impegno solidale deve essere statale e sovranazionale. Il vaccino contro il Covid è bene comune e così dovrebbe essere riconosciuto da tutti».
Dovremmo impararlo per i vaccini e applicare la mentalità a molti altri ambiti, aggiungiamo noi. Di tutti questi temi, evoluzione e cooperazione, fragilità e imperfezione come forza e opportunità, solidarietà e crisi ambientale se ne è parlato a Solidaria, il Festival curato dal Centro Servizio Volontariato di Padova e Rovigo (giunto alla sua quarta edizione, 27 settembre -3 ottobre 2021), annoverando proprio Telmo Pievani nella veste di consulente culturale della kermesse. Il tema è stato affrontato con convegni, ma anche attraverso musica, parole, emozioni, arte, teatro perché, conclude Pievani «la strada vincente per affrontare questi temi, anche scomodi, è farlo contaminando linguaggi diversi per arrivare a ciascuno, coinvolgendo tutti i sensi».
Un estratto di questo articolo è stato protagonista di una “lecture” al festival milanese BookCity Milano, grazie alla voce di Tommaso Amadio, attore, regista, co-direttore artistico Teatro Dei Filodrammatici.