di Paola Springhetti – 30 novembre 2021

L'Agenda 2030 sui Media: se giova parlare dei temi e non degli obiettivi

 Come la stampa tratta l'Agenda 2030 e i suoi temi e quanto questo incida sul raggiungimento degli obiettivi, ne parla la ricerca realizzata dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Salesiana e dall’UCSI - Unione Cattolica della Stampa italiana

Gli obiettivi dell’Agenda 2030dell’ONU non possono essere raggiunti, se su di essi non c’è un’adeguata informazione, che permetta di conoscerli, condividerli, criticarli anche. E, a distanza di sei anni da quel settembre 2015 in cui fu sottoscritta dai governi dei 193 Paesi Onu, è lecito chiedersi se l’informazione mainstream si sia impegnata in questo senso.

Aiuta a rispondere un’indagine basata su una serie di interviste a direttori, giornalisti e “fonti” di informazione: per lo più enti di Terzo settore che lavorano sui temi legati all’Agenda (la ricerca, realizzata dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Salesiana e dall’UCSI – Unione Cattolica della Stampa italiana è stata pubblicata all’interno del volume “Pensare il Futuro. I 17 obiettivi dell’Agenda visti dai giovani e raccontati dai giornalisti”, Ed LAS 2021. Una sintesi dei risultati si può trovare a questo link).

Il primo fatto che emerge è che l’informazione ha dato – anche prima dell’Agenda – e dà molto spazio ad alcuni temi (soprattutto ambiente, energia, clima), ma molto meno all’Agenda in senso stretto, i cui obiettivi, invece, rappresentano importanti punti di riferimento per capire se e su quali temi il nostro Paese fa passi avanti o viceversa passi indietro. Anche da questo discende a volte una certa vaghezza su alcuni temi, oppure la tendenza a inseguire gli argomenti più “popolari”, il che comporta, tra l’altro, l’usura di alcuni termini, come “sostenibile” o “green”, talmente abusati da avere perso contorni semantici chiari.

L’Agenda in redazione

Detto questo, sono emerse alcune differenze tra le testate. Semplificando, si può dire che nelle testate più grandi l’arrivo dell’Agenda ha portato cambiamenti profondi, e quindi non solo più spazio ai suoi temi, ma anche nuovi prodotti, nuovi progetti, e quindi anche investimenti in risorse umane. Nelle testate più piccole ci si è limitati a ricavare qualche spazio nella programmazione ordinaria. E questo anche se i giornalisti si mostrano un po’ più pessimisti dei direttori, nel valutare il “peso” dell’Agenda sull’informazione e fanno notare che alcuni temi sono entrati nel lavoro ordinario solo negli ultimi due o tre anni, grazie ad una serie di concomitanze: il movimento dei Fridays for Future, la pandemia, il PNRR e così via. Ciò nonostante, entrando in redazione, l’Agenda «ha cambiato l’approccio ai temi dello sviluppo sostenibile»; «c’è maggiore attenzione e un’informazione più completa che genera sul territorio una sensibilità più diffusa»; è diventata «un punto di riferimento per poter fare un giornalismo basato sui dati».

Energia, transizione ecologica, welfare, parità di genere, educazione: sembrano questi i cinque temi dell’Agenda che occupano più spazio nell’informazione, anche perché sono quelli che incrociano maggiormente la cronaca, anche quella locale, con cui si confrontano le testate più legate ai territori (per fare un esempio pensiamo a come influenza l’agenda dell’informazione l’Ilva a Taranto).

Sui temi però si evidenzia una seconda differenziazione: mentre le testate laiche sembrano privilegiare i temi ambientali, quelle cattoliche segnalano come centrali la povertà e le disuguaglianze, e in seconda battuta la pace, intesa non solo come assenza di conflitti, ma anche come solidarietà. Probabilmente questo avviene anche per l’influenza dell’Enciclica “Laudato Si’”, che ha lanciato nel mondo cattolico il concetto di ecologia integrale ed è stata pubblicata nello stesso anno dell’Agenda.

Il rapporto con le fonti

Un terzo elemento di differenziazione si scopre analizzando il rapporto tra i professionisti dell’informazione e le fonti. Con l’eccezione di ASVIS, citata da tutti, i direttori citano quasi esclusivamente fonti istituzionali, anche se qualcuno ricorda la necessità di “dare voce alla gente”, più che altro per rendere meno noiosi i servizi. I giornalisti invece citano anche le fonti della società civile e in particolare le citano quelli delle testate cattoliche, che dichiarano di valorizzare programmaticamente associazioni, movimenti, chiese locali eccetera. Ci troviamo così di fronte ad un antico problema, che la ricerca “Pensare il futuro” rilancia: il fatto che l’informazione mainstream si rivolge alle associazioni e agli enti non profit  quando cerca storie, ma non le prende seriamente in considerazione come fonti di informazione, come dice Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione Con il Sud intervistato nell’ambito dell’indagine, «i media restituiscono la rappresentazione che la classe dirigente ha di noi: pensano di essere di fronte ad esperienze meritevoli fatte da brava gente, da persone generose, in qualche caso eroiche. Non prendono in considerazione il fatto che queste esperienze sono decisive, anche per lo sviluppo economico del Paese. Veniamo considerato un settore importante, ma ai margini delle cose che contano».

Il rapporto tra giornalisti e fonti, comunque, resta problematico, per vari motivi: i primi lamentano il fatto che le fonti istituzionali usano spesso linguaggi tecnici difficili da mediare; le seconde accusano i giornalisti di stare troppo sulla cronaca e di adottare criteri di notiziabilità e routine di lavoro che determinano uno short-termism, cioè un pensare a corto respiro. C’è infine un’incongruenza con i criteri di notiziabilità adottati nelle redazioni, incentrati sull’emergenza, sulla notizia drammatica, sulla novità.

Associazioni e movimenti della società civile, invece, sono spesso portatori di buone notizie o semplicemente di una “normalità” che non risponde a quei criteri anche se «può cambiare la vita delle persone e avere un peso reale sui territori», come dice ancora Carlo Borgomeo. E questo è un problema trasversale a tutti i temi di cui il non profit si occupa: dall’immigrazione alla crisi climatica.

*Paola Springhetti giornalista del CSV Lazio, direttrice responsabile della rivista “Reti solidali” e co-autrice del volume “Pensare il Futuro. I 17 obiettivi dell’Agenda visti dai giovani e raccontati dai giornalisti”.

Fonte: Canva

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