Intervista a Grzegorz Kowalczuk, referente del progetto Tents of Hope di Caritas Polonia per capire il ruolo dei volontariati nella crisi al confine con la Bielorussia
Il limite che separa Polonia e Bielorussia è il confine dove l’Europa è ancora e non è più.
Su questa linea, da novembre del 2021, si ammassa un numero imprecisabile di persone che cercano di entrare nel Vecchio Continente.
I migranti, soggetti a una duplice tensione, vengono spinti verso il confine dalla Bielorussia e respinti dalla Polonia.
Questo non è il primo flusso migratorio che si verifica in quell’area geografica, ma si distingue dai precedenti per le reazioni della Polonia e per l’organizzazione dei migranti stessi, che si sono coordinati tra loro, utilizzando social come Telegram, per fare massa ed esercitare una maggiore pressione politica e fisica sul limitare di filo spinato teso da Varsavia.
Grzegorz Kowalczuk, coordinatore di Tents of Hope, “tende della speranza”, il progetto con il quale Caritas Polonia sta portando aiuti umanitari nell’area critica vicina alla Bielorussia, spiega a VDossier che al momento la situazione è molto più tranquilla di novembre, il momento di maggiore tensione, ma questo non significa che non ci siano persone che cercano di raggiungere il territorio europeo attraversando il cosiddetto “green border”. “Il governo polacco sta mantenendo lo stato di emergenza nell’area del confine, fatto che limita in maniera significativa l’accesso a qualsiasi tipo di informazione” – prosegue -. Basandoci sui contenuti pubblicati da altri gruppi attivi nelle azioni di soccorso nell’area di confine, possiamo presumere che a causa delle difficili condizioni meteorologiche le persone che sono riuscite ad attraversare il confine siano in cattive condizioni di salute. È importante monitorare l’area tenendo presente tutti i possibili scenari che potrebbero verificarsi a partire dalla primavera”.
Quantificare non è semplice. Il governo polacco ha fatto riferimento a decine di migliaia – 30mila solo da giugno a ottobre 2021 – di “tentativi di attraversamento”, stando molto attento all’uso dei termini, perché non ha indicato il numero reale di persone che chiedono di entrare, ma quanti respingimenti si sono verificati, laddove una stessa persona può essere respinta più volte. Tuttavia, i numeri sembrano essere contenuti. Al confine si sono ammassate, nel momento di picco, alcune centinaia di persone e, stando a quanto dichiarato a dicembre scorso dalla Commissaria per gli Affari Interni dell’UE Ylva Johansson, sono circa “ottomila i migranti che hanno attraversato le frontiere e si trovano in Lituania, Polonia o Lettonia, in centri di accoglienza. Diecimila migranti sono arrivati in Germania. I numeri sono contenuti, non è una crisi migratoria ma un attacco ibrido”. Si tratta di numeri bassi. Per fare un paragone utile a prendere le misure, in Italia, durante l’emergenza migratoria del 2014, sono arrivate 150mila persone.
“In questi mesi, Caritas Polonia ha organizzato molte attività con l’obiettivo di aiutare le persone direttamente alla frontiera, ma anche di sostenere le persone che stanno già ricevendo protezione internazionale in Polonia – spiega Grzegorz Kowalczuk -. Abbiamo allestito e rifornito nove magazzini nella regione vicino al confine con la Bielorussia, dove i migranti possono trovare i beni di prima necessità. Abbiamo organizzato decine di spedizioni di cibo e vestiti a centri di accoglienza, programmi di adattamento e volontariato per stranieri.
Stiamo mappando i residenti più vulnerabili delle aree vicine al confine che stanno vivendo lo stato di emergenza e con l’aiuto dei volontari Caritas stiamo cercando di sostenerli. Durante il periodo natalizio abbiamo organizzato pacchetti alimentari dedicati ai bisogni più stringenti. Abbiamo una comunicazione continua con altri attori coinvolti in questa crisi per lavorare in coordinamento ed essere in grado di rispondere in modo più efficace in futuro”.
Si tratta di migranti in larga parte iracheni, ma anche di molte altre nazionalità, che arrivano in Bielorussia compiendo tragitti inediti e non lineari.
Un fatto che, secondo i ricercatori dell’ISPI – Istituto per gli studi di politica internazionale, supporterebbe la tesi della volontà del premier bielorusso Lukashenko di politicizzare il flusso migratorio e mettere alla prova l’Europa di fronte all’ingresso di centinaia di migranti, nel tentativo di ottenere una diminuzione delle sanzioni verso il suo Paese (la cosiddetta de-escalation).
La Polonia, dal lato suo, ha tutto l’interesse che si continui a parlare di “crisi” al confine, ingigantendo la realtà dei fatti. Tanto è vero che a settembre 2021 è stato proclamato lo stato di emergenza, provvedimento che sospende il diritto internazionale ed elimina, tra le altre cose, la possibilità di chiedere asilo -istituzione invece caldeggiata dall’Europa-, legittimando così il respingimento di persone in nome dell’emergenza nazionale.
L’origine di questo atteggiamento di Varsavia è da ricercare sia nella frizione con Bruxelles, causata dalle tendenze antidemocratiche degli ultimi anni, sia nella volontà di fare pressione per sbloccare l’approvazione del piano di ripresa nazionale da parte della Commissione Europea – il nostro Pnrr -, ancora in stallo per le discussioni in materia di Stato di diritto.
Al confine, insomma, si stanno accumulando non solo persone, ma una serie di questioni che messe insieme rischiano di deflagrare.
Il pretestuoso stato di emergenza indetto dal governo di Varsavia, però, rende di fatto inaccessibile il confine alle organizzazioni di volontariato, ai gruppi di assistenza sanitaria e ai giornalisti. Il 6 gennaio scorso, Frauke Ossig, coordinatrice dell’intervento di emergenza di Medici Senza Frontiere in Polonia e Lituania, ha dichiarato: “tre mesi dopo l’invio di un’équipe d’emergenza, siamo costretti a concludere l’intervento in Polonia a causa del continuo rifiuto delle autorità polacche di concedere l’accesso all’area di confine con la Bielorussia”. Così anche per Caritas Polonia è impossibile essere presente all’interno dell’area interessata.
“Le uniche persone della società civile che hanno la possibilità di entrare – racconta il coordinatore di Tents of Hope – sono i residenti e le persone con contratto di lavoro con sede nell’area dello stato di emergenza”.
Tuttavia il lavoro di Caritas Polonia prosegue, supportato di recente anche dal contributo di 100mila euro inviato da Papa Francesco a metà gennaio, per affrontare l’emergenza migratoria, in favore dei gruppi di migranti bloccati. La popolazione polacca non reagisce con indifferenza e in molti, vicini alle aree interessate, accendono una lanterna verde per indicare che in quella casa i migranti potranno trovare accoglienza e riparo.
Piccole luci del colore della speranza, nel mare di nebbia che vuole nascondere la realtà.