di Nunzio Bruno – 14 marzo 2022

Un mare di Prossimità

 Il ruolo strategico del Mediterraneo tra volontariato, geopolitica e integrazione

“Un mare che obbliga a una costante prossimità e a ricordare ciò che accomuna”, così Papa Francesco vede il Mediterraneo nel suo Discorso all’incontro di riflessione e spiritualità tra i vescovi del Mediterraneo, tenuto a Bari nel 2020. Oggi il Mediterraneo si è allargato, da Gibilterra fino al golfo di Aden per comprendere i Paesi del Medio Oriente e, a Nord, tutta la sponda europea. Un “allargamento” favorito anche dal raddoppio del canale di Suez che trasforma il “piccolo” mare di mezzo in un “medio-oceano”, tramite fra l’area indo-pacifica e l’Atlantico e nel quale transita un terzo del commercio marittimo mondiale.

Un’area del mondo, quindi, molto complessa e instabile, con grandi interessi in gioco che generano violenze, terrorismo, crisi umanitarie e dinanzi alla quale persino l’Europa balbetta, senza posizioni chiare e univoche, senza una strategia di lungo periodo. Il Mediterraneo è anche teatro di flussi migratori, ma soprattutto di diaspore che coinvolgono i Paesi nordafricani. Una disseminazione di persone che per vari motivi vanno via dalla loro terra e conservano a distanza legami, contatti e ponti fra i Paesi europei d’adozione e quelli d’origine.

Un luogo di movimenti intensi, dove basterebbe poco per attuare una “geopolitica della solidarietà”, mettendo a sistema le esperienze di volontariato dei vari Paesi che hanno molte cose in comune, seppur nella diversità. Un’esperienza importante è il programma Corpo europeo di solida – rietà (ex Servizio di volontariato europeo) che ha l’obiettivo di promuovere e favorire il valore della solidarietà nella società europea. È rivolto ai giovani e offre un periodo di volontariato all’estero, anche in Paesi oltre l’Unione Europea.

Lo testimonia bene Silvia Valdrè dell’associazione milanese Joint Aps che opera in Italia per realizzare questo programma. Fra i Paesi partner nello scambio volontari da e per l’Europa vi è pure l’Egitto, dove Silvia ha svolto nel 2017 un anno di volontariato: “Diciamo che è molto più facile per un volontario italiano partire per l’Egitto, piuttosto che il contrario: le richieste di visto, sebbene si basino su giuste motivazioni, vengono spesso respinte, senza spiegazioni solide, e di fatto ciò ha portato molte organizzazioni europee a preferire la collaborazione con altri Paesi”.

Eppure le possibilità di scambio offerte dal volontariato sono importanti. “I volontari egiziani – continua Silvia – nella nostraesperienza sono molto motivati e possono apportare un valido contributo alle attività delle organizzazioni ospitanti, ma di fatto vedono le loro chance di partecipazione molto limitate, cosa che è andata solo a peggiorare con la pandemia. Questo programma è comunque un ottimo strumento di scambio di conoscenze e di dialogo interculturale, che permette a entrambe le parti di conoscere culture anche molto diverse dalla propria e apprezzare stili di vita e tradizioni che possono sembrare in contrasto con quelle abituali”.

Tuttavia, una possibilità come questa viene frenata dalla burocrazia e dalle ambasciate europee nei Paesi mediterranei che spesso non conoscono la possibilità di visti per ragioni di volontariato che permetterebbero pratiche più rapide. Segno di come la politica dell’integrazione e dello scambio euro-mediterraneo non sia ancora una priorità per l’Unione Europea. Nonostante i ritardi istituzionali, la realtà procede in autonomia con storie di altruismo capaci di consolidare l’integrazione e creare nuovi percorsi di comunità, come dimostra Volontari inattesi. L’impegno sociale delle persone di origine immigrata, pubblicata da Erickson nel 2020, la prima ricerca nazionale svolta sul volontariato delle persone immigrate in Italia.

L’analisi, promossa da CSVnet, l’associazione nazionale dei Centri di servizio per il volontariato, con il Centro studi Medì di Genova e curata dai sociologi Maurizio Ambrosini e Deborah Erminio, evidenzia come gli immigrati siano parte integrante del tessuto sociale italiano anche nel volontariato e come quest’ultimo sia “più accessibile e ricettivo” della politica nel dare la possibilità alle persone di origine straniera di “esercitare una cittadinanza sostanziale”. Significativa in tal senso è l’esperienza di Manel Bousselmi, donna tunisina che a Palermo ha fondato l’associazione di volontariato Fatima, grazie alla quale vengono assistite decine di famiglie e donne musulmane.

“Prima di venire in Italia facevo parte dell’associazione di volontariato tunisina Giovani per la pace. Portavamo aiuti specialmente agli ospiti delle case di riposo. Andavamo a trovarli per vederli, per parlare con loro. Ogni tanto facevamo delle feste per far loro compagnia”. Adesso che è in Italia, Manel tiene i contatti con quel volontariato e soprattutto con l’associazione tunisina delle donne democratiche (Atfd), sigla storica nella tutela dei diritti delle donne nel Paese. Ma, anche qui, le difficoltà burocratiche e gli ostacoli sono tali da rendere molto difficili forme di collaborazione fra le due sponde.

Manel ha una visione geopolitica del Mediterraneo e del suo Paese molto chiara: la Tunisia andrebbe considerata come prima linea dell’Europa e non di un altro continente, tanto è vicina geograficamente. Per cui vede due interventi necessari: da un lato, rafforzare il volontariato tunisino, rimediando all’infiltrazione della politica nella solidarietà organizzata, avvenuta nei dieci anni dalla Rivoluzione dei gelsomini, dall’altro, snellire la burocrazia per le iniziative di solidarietà internazionale e aprire corridoi umanitari, soprattutto per donne e bambini in situazioni di fragilità, di violenza e di guerra. Sembra quasi che le idee di una semplice volontaria riecheggino nel discorso di Papa Francesco al centro di raccolta degli immigrati di Mytilene in Grecia il 5 dicembre 2021:

“Vanno affrontate le cause remote, non le povere persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda politica. Per rimuovere le cause profonde, non si possono solo tamponare le emergenze. Occorrono azioni concertate. Occorre approcciare i cambiamenti epocali con grandezza di visione. Perché non ci sono risposte facili a problemi complessi; c’è invece la necessità di accompagnare i processi dal di dentro, per superare le ghettizzazioni e favorire una lenta e indispensabile integrazione, per accogliere in modo fraterno e responsabile le culture e le tradizioni altrui”.

Il Papa richiama alla “grande visione”, a trasformare cioè un sogno in realtà, a tradurre in scenari concreti e processi politici le tante parole che si dicono sul Mediterraneo. Concretezza “politica” che ben dimostra chi si occupa di impresa sociale e ha fatto diventare il proprio volontariato una professione. Come nel caso dell’esperienza di “Moltivolti” (distrutto da un incendio il 30 gennaio scorso, le cause sono ancora da accertare, ndr), conosciuta a Palermo soprattutto grazie a un ristorante multietnico, ma che in realtà è un progetto di scambio, inclusione lavorativa e integrazione fra culture attraverso il cibo.

Dalla cucina al servizio ai tavoli, si tocca con mano come il Mediterraneo sia un piccolo mare nel quale si affacciano i tre continenti Africa, Asia ed Europa, e capisci quali scenari e quale storia la solidarietà può inaugurare. A dirlo con chiarezza è Carmelo Pollichino, consulente di “Moltivolti” e tra i protagonisti di un interessante progetto di confronto e scambio fra start-up e imprese sociali in Italia, Tunisia e Palestina. “La strada migliore è riuscire a intendere il Mediterraneo come un ponte di culture e non come un muro fra nazioni.

Su questa prospettiva bisogna investire, e la società civile ha un grandissimo e importantissimo ruolo”. Sembrerebbero belle parole, condite anche di una certa retorica buonista, ma Carmelo va sul concreto: “Il volontariato, da un lato, e l’imprenditoria sociale, dall’altro, possono sorvolare gli interessi politico-economici che dominano le dinamiche nel Mediterraneo. Hanno la peculiarità di essere realtà, esperienze e pratiche che non entrano nei giochi di potere e, proprio per questo, possono avere un ruolo di percezione autentica delle diverse realtà locali. In pratica, volontariato e impresa sociale consentono un’analisi del contesto in presa diretta, un’immersione nei territori e nelle comunità senza essere condizionati da informazioni che il più delle volte risultano false e manipolate dagli interessi in gioco”.

Prospettiva che viene confermata da Silvia Valdrè di Joint: “Per un volontario italiano è un ottimo modo per sentirsi “straniero” in una terra che di solito è poco conosciuta e raccontata “male”, vittima di grandi pregiudizi e che siamo abituati a vedere dall’altra parte”. Per questo Carmelo Pollichino lancia l’idea di un servizio di volontariato mediterraneo. O meglio di un Corpo mediterraneo di solidarietà, “dove ci si occupi non tanto di andare ad aiutare, quanto di andare a capire. Offrire, cioè, alle nuove generazioni la possibilità di comprendere quei contesti e analizzare quelle realtà senza filtri”.

Considerazioni e proposte concrete che fanno intravedere la possibilità di una strategia geopolitica del volontariato e della solidarietà organizzata che non parte già sconfitte dinanzi alla realpolitik dei governi e dei potentati operanti in questo scacchiere. Perché, come dice Manel Bousselmi, “le associazioni di volontariato possono cambiare quello che vediamo nel Mediterraneo con piccoli progetti da portare avanti dal di dentro delle varie realtà nazionali. Ad esempio, aiutando famiglie e donne si aiuterebbero quei paesi ad andare avanti, a creare cose e percorsi nuovi”. Al fianco dell’azione volontaria, però, non può mancare la politica internazionale, in cui un ruolo fondamentale gioca l’Unione Europea. Essa è chiamata a fare una scelta: decidere, nel confronto con le altre nazioni del Mediterraneo, di considerare gli interessi economici e i poteri politici dentro la prospettiva indicata dal visionario sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, nel 1960: “contenere la smisuratezza del potere e delle passioni” e “lavorare per la realizzazione simultanea di un mondo fatto a misura d’uomo da uomini fatti a misura del mondo”.

Nell’immagine Volontarie dell’associazione Fatima che assiste famiglie e donne musulmane

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