Il loro sogno è fondare una vera e propria squadra, un piccolo club con colori sociali e nome e così prendere parte a un torneo a tutti gli effetti e confrontarsi con altri giocatori, fuori dalle mura del carcere, per misurare il proprio valore e la propria abilità in campo. “Me lo chiedono e richiedono in tanti, timidi, espansivi, loquaci e silenziosi. Evidentemente si tratta di un desiderio molto sentito”, spiega Paolo Ciaschini, trentanove anni, impegnato come allenatore di calcetto nel carcere di Fossombrone, provincia di Pesaro – Urbino, dove entra per allenare un gruppo di dodici detenuti. E questo grazie al progetto Una comunità in movimento, realizzato da Us Acli – Unione sportiva Associazioni cristiane lavoratori italiani di Ascoli Piceno e Fermo, che ha attivato centinaia d’ore di sport, trecento solo nel 2022, in tre istituti penitenziari, ad Ascoli, Fermo e Fossombrone, coinvolgendo istruttori di educazione fisica nel ruolo di operatori. Una azione che si è sviluppata in seguito al protocollo del Ministero della Giustizia, stipulato dal 2016 per favorire l’attività fisica negli istituti penitenziari e che ha dato il via all’impegno nelle carceri di varie associazioni sportive.
Grazie al lavoro di coordinamento di due volontari, sono diversi i corsi che Us Acli Ascoli Piceno e Fermo organizza dal 2018 in tre istituti penitenziari: partitelle di pallone, allenamenti a corpo libero, ma anche yoga e calciobalilla e scacchi, sport e attività per accendere la mente e l’entusiasmo e aiutare a guardare la vita con aria fresca nei polmoni. Un impegno che si apparenta a pieno con la profonda attenzione che il volontariato dimostra per il mondo del carcere. Lo racconta VDossier in un’inchiesta del numero di dicembre scorso, “La vita dentro”.
Paolo Ciaschini, che da Acli Ascoli Piceno Fermo è stato coinvolto nel progetto, normalmente lavora al Coni ed è professore di educazione fisica, con patentino da allenatore, ed è grazie alla sua esperienza da mister di calcetto che due volte la settimana entra nella casa penitenziaria di Fossombrone per allenare i dodici. La loro squadra un nome vero e proprio non l’ha, ma i compagni tra loro si chiamano “quelli del braccio di Ponente”, che è l’area del carcere dove la maggior parte di loro è destinata.
La prima volta che ha varcato i cancelli di sicurezza, la sensazione straniante di entrare in un mondo distante dal nostro l’ha colpito in pieno. Ricorda Paolo: “Credo che il volto mi si sia riempito di spavento, mentre le porte si chiudevano dietro di me. Ed è uno spavento che ritrovo dipinto negli occhi delle persone che arrivano la prima volta a fare un servizio in carcere, quando si trovano dentro”. Poi quel senso di oppressione si è dissolto, o trasformato, anche grazie all’umanità che i detenuti trasmettono irrefrenabile, accesa dal desiderio che nutrono di migliorarsi, di lasciarsi dietro errori non di rado drammatici.
“Dei ragazzi che alleno, mi colpisce l’entusiasmo, l’impegno. Quattro anno fa, quando stavo per iniziare, il mio timore era che nessuno si sarebbe interessato agli allenamenti e che avrebbero fatto come se non ci fossi stato. Invece è stato il contrario. La voglia di giocare, di imparare, la determinazione è altissima. Anche il rispetto. Anzi di più, direi che questi sentimenti sono persino più forti di quanto li percepisco nei campi fuori dal carcere – racconta Paolo – La loro voglia di fondare una loro squadra ufficiale e prendere parte a un torneo, magari qui sul territorio, per misurarsi con altri, è espressione della loro passione e serio entusiasmo. Poi devo spiegare che il progetto, purtroppo, non è possibile. Le norme di sicurezza non lo consento”. E in realtà, anche se il sistema di sorveglianza lo concedesse, resta che il campo da calcetto nella Casa di reclusione di Fossombrone non è regolare per un campionato. Un muretto di contenimento sta a solo un metro dalla linea laterale, non ci sono spogliatoi e servizi per gli ospiti. Quindi non c’è che allenarsi e giocare fra compagni di squadra, dopo il riscaldamento, gli esercizi a specchio di marcature a uomo e poi la partita. “Ho dovuto spiegare loro le regole del calcetto, che sono più diverse di quanto si creda al calcio. Ma un passo alla volta hanno imparato” racconta Paolo. L’arbitraggio è autogestito, cosicché i giocatori hanno modo di auto determinarsi e misurare il rispetto reciproco. Intanto il mister dà i suoi consigli tecnici, per affinare un dribbling, caricare un tiro con la giusta angolatura. In molti domandano.
Per i detenuti del braccio di Ponente, il momento della partita è l’unico dove si può socializzare. Altri luoghi d’incontro non se ne hanno facilmente, il carcere di Fossombrone è di media e alta sicurezza, c’è chi sta scontando condanne molto lunghe. “La squadra è formata da persone dai ventidue ai quarant’anni, tutti italiani. Ma io non faccio domande sul loro passato, non so il loro cognome e nulla del perché stiano scontando una pena detentiva. Noi siamo lì per crescere come squadra di calcetto”.
Pallone e casacche sono forniti da Us Acli, che all’interno del progetto Una comunità in movimento è riuscita a dotare di attrezzatura sportiva le carceri dove opera. Invece indumenti, scarpe da calicetto, o guanti da portiere se li procurano i detenuti. C’è chi indossa la maglia del Napoli, del Milan, della Juve sotto la propria casacca, ognuno ha la sua squadra del cuore e la partita dell’allenamento è un momento per tenerla alta.
Se il torneo con altre associazioni sportive non si può fare, c’è un appuntamento però che ogni anno i giocatori del braccio di Ponente attendono con molto ardore, quello del match di fine corso, prima dell’estate e la chiusura degli allenamenti, quando dall’esterno delle mura arriva una squadra avversaria formata da giocatori e allenatori della zona, che Paolo Ciaschini ingaggia – a titolo volontario, si intende – per la partitissima. Di solito i favoriti sono sempre gli esterni, tutti calciatori di esperienza, rispetto ai detenuti. Ma mai dare nulla per scontato, nella vita come nello sport, spiega Paolo: “Quest’anno la squadra è particolarmente forte e motivata. Darà di certo filo da torcere agli avversari. Me lo dice la mia esperienza”. L’appuntamento tra le mura del carcere è il 10 giugno: forza ragazzi.
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