Organizzare un evento è oneroso sotto tanti punti di vista. Dalla promozione, che richiede non soltanto un’ottima dose di pianificazione e coordinamento ma anche di creatività, alla progettazione, passando per la mera logistica che è anche il frangente che regala più spesso il tanto temuto effetto-sorpresa.
A mettersi di traverso è spesso e volentieri la burocrazia, che complica più che semplificare e che richiede non soltanto una certa dose di pazienza, ma anche notevoli competenze tecniche, che variano a seconda del Comune in cui l’evento andrà allestito.
Tanto per semplificare: un cosiddetto evento di pubblico-spettacolo, grande o piccolo che sia, richiede la compilazione di certificazioni, rendering e piani di sicurezza con tanto di identificazione di ingombri e vie di fuga, moduli che soltanto un/una professionista (architetta/o, ingegnere o chi per lui/lei), abilitato/a ma soprattutto con le competenze necessarie) è in grado di fare, il più delle volte a pagamento.
L’iniziativa va comunicata alla Prefettura, se l’affluenza prevista è tanta vanno noleggiati i Toi toi (bagni chimici), procurate sedie ignifughe, certificati gli impianti elettrici, recuperati gli estintori (e anche qui, è necessario avere i soggetti abilitati per usarli, a pagamento, sicuramente), pagare la Tari (tassa sui rifiuti) e la Tosap (occupazione suolo pubblico).
Chi è che affronterebbe tutto questo per offrire al proprio quartiere la proiezione di una pellicola d’essai, o un concerto per raccogliere fondi, o un’esibizione di danza? Migliaia di Enti del terzo settore, ogni giorno, in tutta Italia. Certo, con livelli di complessità diversi, perché diverse sono le amministrazioni comunali e diverse sono state le strategie messe in campo per cercare di semplificare, nonostante tutto.
Tra questi, molti Ets, come anche comitati organizzatori di eventi o gruppi informali di vicinato o di quartiere, possono vantare di avere al loro interno competenze trasversali: dal fundraiser volontario alla comunicatrice appassionata di social media, dal tesoriere esperto di contabilità all’amministratrice in pensione (senza nulla togliere agli amministratori ancora in attività che riescono anche a dedicarsi al volontariato nei loro ritagli di tempo libero).
Esemplari anche le amministrazioni locali particolarmente vicine al terzo settore, che magari hanno deciso di dotarsi di un assessorato dedicato e che spendono delibere e determine, consigli e commissioni pur di andare incontro alle necessità della propria cittadinanza attiva.
E quando queste due forze si incontrano, l’effetto è esplosivo. O forse sarebbe meglio definirlo socialmente generativo. È un po’ quel che è successo a Milano tra il 16 marzo e il 3 giugno 2022, quando l’iniziativa popolare del movimento nonché campagna civica “Sai che puoi” ha fatto nascere il Manifesto dei piccoli eventi diffusi per chiedere all’amministrazione di semplificare l’organizzazione di momenti di intrattenimento e promozione socio-culturale in giardini, piazze e cortili della metropoli.
Questa richiesta ha subito incrociato il percorso tecnico-amministrativo intrapreso dalla giunta Sala, già dal 2021. A prendere in mano la palla è stata -anche- l’assessora alla Partecipazione e alle Politiche di decentramento Gaia Romani, che nei cinque anni di esperienza precedente come consigliera nel Municipio 8 aveva incontrato innumerevoli volte “associazioni che volevano organizzare iniziative, anche piccole, ma continuavano a dirci di non riuscire a farlo perché il livello burocratico era troppo articolato e sbilanciato rispetto al livello di complessità delle iniziative che loro stessi proponevano”.
La volontà politica di semplificare già c’era, tanto che “era stato creato lo Sportello unico eventi (Suev), per cercare di convogliare l’accesso a un unico servizio di tutti quei soggetti che volevano organizzare qualcosa a Milano. Il problema però è che in breve tempo si è ritrovato ingolfato da tutte le richieste presentate, molte delle quali non riuscivano ad arrivare a buon fine proprio per il livello di complessità a cui gli organizzatori erano costretti a sottostare.
C’era tutto l’interesse a semplificare il lavoro e a smaltire gli arretrati dell’area, quantomeno per gli adempimenti meno complessi, senza farli uscire dall’orbita del Suev”. L’assessora precisa però che, anche se la norma di riferimento sarebbe nazionale, “ogni Comune può organizzarsi in modo autonomo. Noi abbiamo deciso di uniformare la procedura tramite un portale e un ufficio unici, ma sicuramente ci sono altri enti che, scegliendo di non accorpare certi servizi, potrebbero essere in grado di gestire i livelli di complessità in modo differenziato”.
Giusto per non fare di tutta l’erba. Il dibattito era caldo, la politica era pronta e cittadini e cittadine stavano uscendo da un periodo -quello della pandemia da Covid- che li stava portando a un necessario, quanto fisico e fisiologico, bisogno di tornare a incontrarsi. “Per certe cose ci vuole una sorta di convergenza”, prosegue Romani, “questo ha creato il giusto humus per mettere mano a questo tipo di problema”.
Ma per comprenderlo ancora più da vicino, è importante raccogliere anche il punto di vista di chi, quel manifesto, lo ha firmato, diffuso e ha lavorato a stretto contatto con l’amministrazione comunale e i suoi uffici per semplificare e sburocratizzare l’organizzazione dei piccoli eventi. “La svolta è arrivata quando è stata sostituita la locuzione iniziativa di pubblico spettacolo con iniziativa socio-culturale”, ricorda Luca Cusani, regista e componente dell’associazione culturale Cinevan che, tra le altre cose, fa proiezioni cinematografiche all’aperto in luoghi non convenzionali come strade, piccole piazze, cortili di case popolari. “Per fare cultura diffusa ci affidavamo all’epoca anche al sostegno dei bandi pubblici emessi dai Municipi di Milano, che investivano risorse nell’organizzazione di iniziative di periferia. Il paradosso, però, era che la gran parte di quelle risorse andava nell’espletare le pratiche burocratiche necessarie all’organizzazione delle iniziative, in un sistema che non faceva altro che mangiare se stesso. Di fatto le pratiche erano pressoché le stesse che per la Milano fashion week”, sottolinea caustico.
“Peraltro in caso di maltempo era necessario rifare la pratica. Un sistema incredibilmente complesso per chi, come noi, voleva fare solo piccole iniziative di vicinato”. Nell’acronimo Pids, Piccole iniziative diffuse a carattere socio-culturale, istituite a giugno del 2022 per semplificare l’organizzazione di piccoli eventi nel Comune di Milano, il concetto di diffusione assume finalmente quella connotazione positiva quando, prima di allora, non faceva che essere associato a sentimenti quali disagio, frustrazione, rassegnazione.
“All’epoca collaboravo con l’università per un progetto legato agli spazi del cavalcavia Monteceneri di Milano”, ricorda Patrizia Scrugli, docente del Politecnico, “l’assessorato alla Partecipazione ci aveva chiesto di sottoscrivere un patto di collaborazione siglato anche con altre realtà del territorio, con l’obiettivo di attivare con degli eventi a tema sportivo almeno per una porzione del cavalcavia. ll problema è arrivato però quando siamo incappati nel Suev per aprire l’istanza di pubblico spettacolo, noi, che eravamo ricercatori, non avevamo certo le qualifiche per fare quello che ci veniva richiesto”, se non in parte dalla stessa Scrugli, architetta, che grazie all’aiuto di colleghi e conoscenti è riuscita a raccogliere le informazioni base necessarie a compilare tutti i moduli richiesti.
“Non avevo mai fatto richieste di occupazione del suolo pubblico né redatto piani di sicurezza con evidenziate le vie di fuga, le barriere, gli elementi di protezione… Alla fine mi sono occupata io della certificazione ma per certe cose, come l’uso degli estintori, ci siamo dovuti rivolgere a un professionista a pagamento. Siamo riusciti a inviare la pratica un mese prima dell’evento, ma da quel momento in poi ci sono state chieste integrazioni continue, perfino un collaudo statico per una gabbia dove avrebbero giocato a basket, con tanto di sopralluogo della Polizia locale e dei Vigili del fuoco. La Commissione comunale di vigilanza mi aveva addirittura paventato il rischio di reato di tentata strage. Per noi era inconcepibile che dopo due anni di lavoro stavamo rischiando di fallire all’ultimo miglio. Solo allora ci siamo accorti che i nostri supporter, incluso lo stesso assessorato, non avevano idea della complessità che c’era dietro l’organizzazione di eventi di questo tipo sul territorio. Così abbiamo iniziato a chiederci se il problema non fosse nostro, ma del sistema”.
Le storie di Cusani e Scrugli sono quelle di altre decine di associazioni (140 in origine, poi diventate oltre 180) che hanno firmato il Manifesto, culminato nella creazione delle Pids. Tre -più uno- i requisiti nodali per accedere alla procedura semplificata: l’assenza di scopo di lucro, la capienza massima di 100 persone e l’occupazione di non più di 60 mq di suolo pubblico, purché solo in aree verdi o pedonali.
“Significa non poter mettere sedie e non poter organizzare le proprie iniziative ovunque”, sottolinea Cusani, “noi ci adattiamo in piedi, con cuscini e coperte o sfruttando spazi già attrezzati, come parchi con panchine o piccoli anfiteatri”. Mentre la cauzione e la Tosap sono state abolite, lo scoglio degli ostacoli invalicabili non è ancora stato superato. Rispetto alla situazione antecedente, le Pids hanno comunque rappresentato un notevole balzo in avanti. “Noi continuiamo e continueremo a pungolare l’amministrazione per perfezionare la procedura laddove possibile”, conclude Scrugli.
“La parte politica si è dimostrata fin da subito molto ricettiva, anche se mi preme sottolineare che la prossima entrata a regime del Geoportale potrebbe tornare a complicare leggermente le cose, perché se prima bastava compilare un modulo cartaceo dove indicare luogo e ora, un domani bisognerà fare tutto online e questo non faciliterà le cose per tutti”.
“Sono anni che l’amministrazione Sala cerca di farsi più carico delle periferie per arrivare ad avere una città quanto più decentrata e a offrire servizi capillari e diffusi”, ricorda l’assessora Romani, “mi sento di dire che da quando le Pids sono entrate a regime non c’è stato tanto un incremento delle proposte, quanto una loro emersione”.
Fondamentale il coinvolgimento degli uffici pubblici, con cui è stato fatto un elenco dei tipi di attività che potevano rientrare nella casistica; le zone individuate sono rimaste pressappoco le stesse nel corso di questi quasi due anni di attivazione e la partecipazione dei Municipi ha permesso di avviare una mappatura del fenomeno.
“Nei primi sei mesi di sperimentazione sono state organizzate oltre 150 piccole iniziative, di cui quaranta nei cortili delle case popolari e novanta in giro per la città”. Ovviamente le Pids sono condizionate da caldo e bella stagione, visto che sono iniziative previste soltanto all’aperto. “Oggi lo strumento è diventato ormai ordinario, però c’è ancora chi non lo conosce, dunque continueremo a investire in azioni divulgative”. Nonostante sia passato tempo dalla sua attuazione, Milano sembra essere ancora un unicum in Italia: “Non sono molti i colleghi di altri grandi Comuni che mi hanno chiesto delucidazioni o suggerimenti per portare le Pids nel loro sistema amministrativo”, conclude l’assessora, “forse l’organizzazione interna dei loro uffici rende le cose meno complesse, certo è che nel nostro caso l’aiuto da parte dei cittadini e delle cittadine, nonché dei gruppi informali e delle associazioni di volontariato, è stato fondamentale e continuerà ad esserlo per permettere il miglior funzionamento di questo strumento”.
C’è anche chi, nel frattempo, ha fatto esperimenti paralleli, come gli assessorati di Padova, Bergamo, Bologna, Trento e Verona che a luglio dello scorso anno si sono incontrati per abbozzare la stesura di una “Carta dei rapporti tra gli enti locali e le associazioni”. Un documento, è vero, non incentrato soltanto sull’organizzazione di eventi, sicuramente meno impellente poiché non partito da una spinta dal basso e da un disagio diffuso, tanto che la sua stesura, inizialmente prevista per l’apertura dell’iniziativa Trento capitale europea del volontariato, ancora non è terminata.
Da non dimenticare però anche il ruolo dei Centri di servizio per il volontariato (Csv) nell’accompagnamento all’organizzazione di proposte di promozione del volontariato. Anche qui, come nei Comuni, la gestione interna è demandata alle singole strutture. A Cosenza per esempio si sono inventati le Piazze del volontariato, “uno strumento che abbiamo ideato per rendere più uniforme l’erogazione di servizi a quelle associazioni che ci chiedevano una mano per organizzare eventi, arrivando però talvolta con le idee un po’ confuse”, ricorda la direttrice Mariacarla Coscarella, “ecco perché abbiamo deciso di offrire un pacchetto, anche per rendere la loro azione di promozione del volontariato più organica, più efficace”.
Tra le attività sostenute ci sono le raccolte fondi, la ricerca di nuovi volontari, i festeggiamenti per ricorrenze o anniversari, le giornate nazionali e la promozione delle attività associative. Dal 2018 a oggi sono stati sostenuti 104 Ets (nell’annualità 2021/2024 sette enti di nuova costituzione). Le iniziative complessive supportate sono state 216, con 1.162 volontari e 22mila 505 cittadini coinvolti. Attorno agli eventi hanno gravitato 2.024 studenti, 101 istituzioni locali e duecento altri Ets. Per accedervi è necessario prenotare una prima consulenza, seguita poi da un accompagnamento lungo tutto l’evento che non si limita però alla parte logistica, o burocratica.
“Facciamo una riflessione sugli strumenti della comunicazione, li mettiamo in dialogo con gli attori del loro territorio”. La provincia calabrese è frammentata in 150 Comuni, molti dei quali piccoli o piccolissimi. “Il nostro servizio, che si articola anche in alcuni sportelli territoriali, è in grado di garantire un certo livello di animazione anche là, ottenendo in cambio più credibilità da parte degli enti, un’attivazione più efficace di nuovi volontari. Insomma, è uno strumento davvero utilissimo, soprattutto per le realtà neocostituite”.
Il passaggio istituzionale però è ancora lontano, ma non per questioni di diffidenza: “Purtroppo molti municipi cosentini sono in dissesto economico”. Quello che potrebbe sembrare un ostacolo insormontabile può però diventare un’opportunità, soprattutto per chi, come un Csv, esiste anche per colmare distanze come questa.