Marina, una donna di 43 anni, affetta da fibromialgia ha raccontato la sua storia all’associazione Pazienti cannabis medica aps. Il dolore fisico da non poterne più, la perdita del sonno, la voglia di non fare qualsiasi cosa, ma anche il suo sentirsi strana, diversa, fino alla diagnosi e alla domanda: adesso che faccio? Perché questa sindrome fa stare male: dolori articolari e insonnia.
Marina ha parlato dei suoi iter lunghissimi e della marea di farmaci assunti: antidepressivi offlabel, antinfiammatori, oppiacei e infine la cannabis medica. Da quando assume quest’ultima non ha mai detto di essere guarita, ma la qualità della sua vita è migliorata.
Che la cannabis medica abbia effetti terapeutici, ormai è assodato. Ma il suo utilizzo è controverso e solleva problematiche giuridiche ed etiche. Elisabetta Biavati, presidente dell’associazione Pazienti cannabis medica aps, ci accompagna in una riflessione, tra opportunità e criticità.
“Le prime conoscenze scritte sull’uso di cannabis”, spiega, “risalgono al 2700 avanti Cristo nella farmacopea dell’imperatore Shen Nung, uno dei padri della medicina cinese. È solo nel 1964, invece, che, grazie al contributo della scuola israeliana, un gruppo di ricercatori guidati da Raphael Mechoulam scopre il sistema endocannabinoide e le sue implicazioni terapeutiche, affermando che se la cannabis fosse legale sostituirebbe immediatamente il 10-20 per cento di tutti i medicinali”.
Oggi questo farmaco secondo diversi esperti rappresenterebbe una possibilità per migliorare la qualità della vita di molti pazienti. Purtroppo porta dietro sé una serie di pregiudizi legati all’uso ludico, difficili da scardinare. Nel 2015 è stato approvato in Italia il decreto legge Lorenzin che ne regola la produzione e ne autorizza la prescrizione per il trattamento di alcune patologie come il dolore cronico, sclerosi multipla, cachessia o per contrastare gli effetti di chemioterapia, radioterapia e terapie e per l’Hiv, ma anche per stimolare l’appetito in pazienti anoressici od oncologici, come ipotensivo nel glaucoma e per controllare i tic nella sindrome di Tourette.
Non tutte le Regioni italiane, però, hanno recepito la legge, quindi prescrizioni e rimborsi cambiano a secondo del territorio creando una disparità di trattamento nei pazienti, sia economica sia assistenziale. La ricerca va comunque avanti ed emergono nuove indicazioni, come il trattamento per la fibromialgia o per patologie come l’Alzheimer, il Parkinson e l’autismo (riferimenti scientifici su Pubmed).
Anche per il cannabidiolo (Cbd) ci sono evidenze di efficacia per la spasticità nell’epilessia infantile (qui un articolo: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36417631/). “Seppur non esista, né sia prevista, un’obiezione di coscienza dei medici per le terapie con farmaci a base di cannabis”, aggiunge Biavati, “spesso i pazienti sono costretti a subire lo stigma che questa pianta si trascina e sono trattati alla stregua di drogati da alcuni operatori sanitari impreparati, ledendo la loro dignità.
Sottolineo che molti si avvicinano a questa terapia perché farmacoresistenti. Soprattutto in questi casi la reticenza dei medici può creare grossi problemi nella quotidianità. Sono terapie che vengono prescritte regolarmente e preparate da farmacie galeniche, quindi assimilabili a qualsiasi altra terapia medica”.
Dal punto di vista giuridico, l’uso della cannabis medica è regolamentato in diversi Paesi, un esempio sono gli Stati Uniti e il Canada, ma la maggior parte la considera ancora una sostanza illegale, creando una situazione a macchia di leopardo anche in Europa. Questo rende difficile accedere a trattamenti terapeutici appropriati. “Nonostante in Italia siano tanti anni che la legge preveda un utilizzo e una prescrizione legale della cannabis a uso terapeutico”, dice la presidente, “ancora le reticenze della classe medica sono enormi, un’ostilità che come associazione non abbiamo registrato per nessun altro tipo di farmaco, anche con effetti collaterali ben più importanti.
Secondo il Dlg 2015, qualsiasi medico può prescrivere questi farmaci, purché suffragati da evidenze scientifiche. Il problema è quindi strettamente etico e morale, in troppi infatti la considerano una sostanza illecita, costringendo diversi pazienti a pellegrinaggi per ottenere la terapia. In alcuni Stati del Nord Europa, addirittura, è illegale perfino il cannabidiolo (Cbd), da noi di libera vendita in quanto non psicotropo. Ancora diversa la situazione in Germania, dove esistono oltre 70 medicinali a base di cannabis medica in diverse linee genetiche pensate per più impieghi”.
Una grande criticità è proprio quando un paziente vuole andare in vacanza e non può portarsi dietro la propria terapia per il tangibile rischio di intercorrere in problemi penali anche gravi. Perfino dove l’uso medico della cannabis è legale, può essere difficile ottenere l’autorizzazione all’assunzione. Molte nazioni, come spiega Biavati, richiedono per esempio la prescrizione del medico, che a sua volta deve avere l’autorizzazione a prescrivere la cannabis terapeutica.
Una burocratizzazione che ne limita inevitabilmente l’assunzione. Ogni giorno vengono pubblicati nuovi studi sull’uso dei cannabinoidi soprattutto nei Paesi dove la clinica di questo farmaco è molto avanzata come Canada, Israele o Stati Uniti, purtroppo ciò non basta a combattere il pregiudizio.
Molti pazienti temono di essere additati come drogati, riscontrando anche problemi nel rinnovo della patente. Ecco perché si ritiene utile avere studi più approfonditi sugli effetti avversi, storicamente, riguardanti soprattutto l’uso ricreativo della pianta. Un tema affrontato dall’Istituto Superiore di Sanità che, nel 2015, ha istituito un sistema di fitovigilanza specifico (qui il sito di riferimento https://www.epicentro.iss.it/cannabis-uso-medico/relazioni-periodiche), anche se i dati che arrivano sono ancora pochi.
Secondo Fabio Firenzuoli, direttore del Cerfit di Firenze, Centro di riferimento regionale per la Fitoterapia del Careggi, sembra comunque che molti problemi derivino da un uso improprio e che, nella maggior parte dei casi, gli effetti collaterali siano moderati e ben gestibili (intervento in occasione del convegno organizzato dal mensile Salute di Repubblica del 20 ottobre 2022, all’Ara Pacis di Roma).
L’uso della cannabis medica pone quindi ancora diverse domande. Molti si chiedono se sia giusto utilizzare per scopi terapeutici una sostanza considerata illegale nella maggior parte dei Paesi. “La confusione che negli anni si è generata tra uso ludico e uso terapeutico ha alimentato questo pregiudizio, per questo molti medici ancora faticano a prescriverla, preoccupati dal pericolo di dipendenza e abuso. Nella cannabis medica, sia per i dosaggi sia per la stretta sorveglianza, però, l’abuso e la dipendenza non sono mai stati riscontrati. Cosa che succede invece per altri farmaci ben più noti. Numerosi studi dimostrano al contrario che la cannabis medica venga proprio usata per uscire da molte dipendenze”.
In questo panorama, diventa anche importante comprendere le pratiche di fabbricazione, fondamentali per garantire la qualità, la sicurezza e la conformità normativa del prodotto. Punto di riferimento sono le linee guida Gmp (Good manufacturing practices), norme di buona fabbricazione definite dalle Agenzie regolatorie globali che i produttori devono seguire al fine di assicurare la qualità del prodotto e la sicurezza degli standard qualitativi. Fungono da spina dorsale dei processi di produzione in vari settori, tra cui la cannabis medica. La progettazione e la manutenzione dei locali e delle attrezzature sono fondamentali per prevenire la contaminazione e garantire la produzione efficiente di prodotti sicuri.
Ogni fase deve rispettare rigorosi standard, ciò include il test delle materie prime, prive di qualsiasi inquinante, dei prodotti intermedi e del prodotto finale.
“In questi anni”, conclude Biavati, “la ricerca ha capito che il nostro corpo ha un sistema endocannabinoide (Sec), un complesso sistema di segnalazione cellulare identificato all’inizio degli anni ‘90 dai ricercatori che esplorano il Thc. Comprendere l’intricata danza tra il Sec e i cannabinoidi della cannabis fa luce sul motivo per cui questa pianta ha un potenziale terapeutico. Il Sec è un complesso sistema di segnalazione cellulare all’interno del corpo e svolge un ruolo nella regolazione delle funzioni e dei processi vitali come l’umore, l’appetito, il sonno e la sensazione di dolore. I cannabinoidi della cannabis, tra cui Thc e Cbd, imitano i cannabinoidi endogeni del nostro corpo, consentendo loro di interagire con i recettori del Sec diffusi corpo. L’affinità del THC per i recettori CB1 nel sistema nervoso centrale può influenzare vari processi psicologici e fisiologici, portando a effetti psicoattivi. Nel frattempo, il Cbd, non legandosi a questi recettori, esercita i suoi effetti in modo indiretto, offrendo potenziali benefici senza effetti psicoattivi. Oltre al Thc e al Cbd, la cannabis contiene altri cannabinoidi. Questi composti contribuiscono all’effetto entourage, migliorando l’efficacia terapeutica della cannabis se usata in combinazione. L’imitazione dei cannabinoidi endogeni da parte di quelli presenti nella cannabis consente un adattamento naturale all’interno del Sec, offrendo sollievo dal dolore, regolazione dell’umore fino a potenziali trattamenti per malattie croniche. La sinergia tra cannabinoidi e Sec esemplifica la complessità della cannabis come pianta medicinale e la necessità di ulteriori ricerche per sbloccare il suo potenziale. Man mano che approfondiamo la scienza della cannabis e la sua interazione con il corpo umano, la promessa di una medicina personalizzata, che sfrutta le proprietà uniche di questa antica pianta, diventa sempre più tangibile in tutto il mondo”.