I giovani credono nel volontariato: sono interessati alla politica, ma hanno poca fiducia nelle istituzioni e molta di più dove trovano spazi di partecipazione e modalità di espressione. Ed è proprio il volontariato che vive il picco della fiducia degli under 34 (66 per cento). Ci vedono uno spazio adeguato per cambiare la società. Anche nella scuola, negli ospedali e nella ricerca scientifica. Il dato emerge da una ricerca condotta in cinque Paesi da Ipsos per l’Istituto Giuseppe Toniolo tra il 22 aprile e il 10 maggio 2024.
Per ciascuno è stato selezionato un campione di giovani dai 18 ai 34 anni secondo quote rappresentative di genere, età, titolo di studio, condizione lavorativa e area geografica di residenza. La numerosità campionaria raggiunta è stata di duemila casi per l’Italia e di mille per ciascuno degli altri quattro Paesi coinvolti (Germania, Francia, Polonia e Spagna). Le organizzazioni di volontariato, ma in generale gli enti del terzo settore, vedono proprio nei volontari una forte base e si misurano ogni giorno con una diversa concezione operativa. “La fiducia verso le istituzioni è molto articolata – come si legge nel report di ricerca –, va dal 31,6 per cento per i partiti a oltre il 55 per cento per il presidente della Repubblica, ma per le istituzioni non politiche si arriva anche oltre il 60 per cento per la scuola, gli ospedali e il volontariato, fino al 74 per cento per la ricerca scientifica. La fiducia nei confronti dell’Unione europea è al 54,5 per cento, confermando in sostanza il livello pre-elezioni europee del 2019 (quando era al 54,2 per cento). I giovani non sono quindi sfiduciati del tutto e su tutto, riconoscono anzi un ruolo positivo a una buona parte di soggetti pubblici”.
Dai focus group svolti con i giovani la convinzione che emerge è che non tutti si adoperano in egual misura per il buon funzionamento della democrazia. Tra chi sta contribuendo molto indicano in primis il presidente della Repubblica e le associazioni di volontariato, mentre come scarso è valutato il contributo dei media.
Sempre più volontari sono saltuari
L’interesse dei giovani verso l’impegno, ma la contemporanea difficoltà a dare continuità alle proprie azioni, è confermata anche l’Istat che recentemente ha caricato sul sito altri dati statistici relativi al Censimento permanente delle istituzioni non profit. Le tabelle presentano alcuni numeri ancora inediti su approfondimenti specifici, in particolare sul settore e il sotto-settore di attività prevalente delle istituzioni non profit, le caratteristiche socio-demografiche dei volontari impegnati come età, condizione professionale, cittadinanza, tipologia di attività svolta dai volontari, che sia sistematica (secondo una tempistica pianificata) o saltuaria (senza alcuna pianificazione o svolta in maniera occasionale).
Presenti anche quelli relativi alla mission delle istituzioni non profit. “Sono quasi 600mila i giovani che prestano la propria attività gratuita, anche se il 56 per cento si concentra nei settori della cultura, dello sport e della ricreazione – ricorda Sabrina Stoppiello, responsabile del censimento –. Quello che caratterizza maggiormente il loro impegno è il settore sanitario. Un milione di volontari attivi ha invece più di 65 anni, quasi un quarto di loro dedica il proprio tempo a organizzazioni che svolgono attività ricreative e di socializzazione, mentre un quinto del totale fa volontariato nei settori dell’assistenza sociale e della protezione civile. La presenza in questo settore è la peculiarità del loro coinvolgimento, a riprova della capacità delle fasce anche più anziane della popolazione di mettersi ancora in gioco e di essere in alcuni casi a supporto dei soggetti fragili”.
Come confermano anche altre ricerche su questo tema, avere un’occupazione stabile facilita lo svolgimento del volontariato: più di un milione e mezzo sono i maschi occupati, 976.432 le femmine, i pensionati superano 1,3 milioni. Gli studenti superano di poco i 400mila. Le associazioni sono le realtà che coinvolgono il maggior numero di volontari, più di 4 milioni, mentre gli altri quasi 500mila sono dentro cooperative sociali, fondazioni o realtà con altre forme giuridiche. I volontari delle istituzioni non profit di cittadinanza non italiana sono 91.819. L’Istat ha reso noti anche i dati relativi a coloro che prestano attività sistematica o saltuaria, suddivisi per sesso, ripartizione geografica e regione. Praticamente la metà (2.346.965) svolge attività saltuaria mentre sistematica è quella di 2.269.951 persone. Andamento e percentuali simili si ritrovano in tutti i settori in cui sono attivi i volontari. Il maggior numero dei maschi saltuari fa attività sportiva e sempre lo sport è prevalente fra quelli sistematici.
Forme di partecipazione sempre più fluide
Tendenze che si riscontrano anche in una ricerca realizzata da Cattolica, la business unit di Generali Italia, in collaborazione con Csvnet, l’associazione nazionale dei 49 Centri di servizio per il volontariato attivi in Italia. È stata realizzata su un campione di 821 istituzioni non profit che fanno parte della rete dei Csv, Centri di servizio per il volontariato. Le forme di partecipazione sono maggiormente fluide, non solo per il volontariato, ma i giovani non si allontanano da un impegno sempre più informale e sempre meno organizzato in senso classico. A loro modo, ma ci stanno dentro. Nella ricerca emerge che il 60 per cento si impegna occasionalmente e in modo non continuativo. Quelli definiti sistematici invece sono invece più attivi tra le organizzazioni di volontariato (61,2 per cento) e nei settori dell’assistenza sanitaria (64,3 per cento) e sociale (52,6 per cento). Cambiamenti che rendono necessarie nuove modalità di organizzazione e di relazione con i volontari.
Nuove strategie sostenute dai Csv
“Se parto da quello che ci comunicano le associazioni emerge un interrogativo molto chiaro: come facciamo a portare dentro nuove persone?”. A entrare dentro i punti più caldi e controversi delle nuove forme di partecipazione è Stefano Farina, coordinatore dell’area dei servizi alle organizzazioni del Csv di Monza, Lecco e Sondrio. “Si pongono questo problema: alcuni volontari, dopo l’epoca Covid, non ci sono più perché rimasti vittime della pandemia, altri hanno un’età avanzata. Le organizzazioni di volontariato, in particolare, sono un po’ sfilacciate, fanno fatica anche quelle più storiche. Abbiamo appena analizzato i nostri soci: una base di 300 enti di un territorio certamente limitato, ma interessante. La quota più grande ha fra i 30 e i 54 anni e anche fra i 54 e i 65. I giovani sono pochi, la fascia più adulta sta spingendo. È un dato interessante perché conferma l’andamento storico dell’Istat: non è vero che gli anziani e i giovani hanno tanto tempo, lo hanno coloro che vivono una situazione economica assestata”.
Il campione del Csv di Monza, Lecco e Sondrio conferma anche che le associazioni di promozione sociale hanno volontari mediamente più giovani, perché hanno forme di coinvolgimento più dinamiche in cui riescono anche a fare qualche lavoretto e magari trovare un po’ di remunerazione. Il volontariato è uno stile di vita. Si legge con precisione dentro il mondo di Legambiente: persone che fanno volontariato a breve termine, ma poi incontrano altre esperienze e nuove motivazioni. Serena Carpentieri è la vicedirettrice generale di Legambiente, una grande associazione che si sviluppa in circoli territoriali con 480 gruppi di soci e volontari che operano in tutta Italia. “Per noi i volontari sono soprattutto una risorsa di tipo territoriale a supporto dei circoli. Come struttura nazionale ci stiamo occupando da qualche anno di come facilitare il contatto, ma anche la fidelizzazione sul territorio. I progetti che abbiamo, come ad esempio la promozione di campi di volontariato, non hanno avuto flessioni importanti in termini di partecipazione. Per favorire il contatto e la promozione facciamo campagne spot su azioni del week end e aiutiamo a fare entrare in contatto volontari e volontarie del luogo con i nostri circoli e farli aderire a iniziative specifiche”.
Nel 2018 Legambiente ha creato un coordinamento nazionale giovani che sta aiutando tutta l’associazione a incrementare l’attività, lavorando sul reclutamento di forze nuove, in particolare giovani. “Abbiamo gruppi in ogni regione”, aggiunge Carpentieri, “e organizziamo tanti eventi e formazioni specifiche su come cambiare modalità di linguaggio nei confronti delle nuove generazioni che non rispondono come quelle precedenti. Così ci rinnoviamo, perché la sfida è coinvolgere e rendere protagoniste le persone che operano per noi e fare in modo che aderiscano in modo crescente e più strutturato alla nostra e ad altre associazioni”.
Lavorare molto sulle mobilitazioni, in particolare su quelle di lotta alla crisi climatica chiama tante nuove persone a partecipare e il coordinamento giovani è stato centrale per innovare le pratiche associative e fare diventare Legambiente più inclusiva verso le nuove generazioni e aiutarla ad avere cura delle procedure di coinvolgimento. “Ai giovani”, sostiene Carpentieri, “va dato protagonismo, è una chiave necessaria per cambiare e venire incontro a quelle che sono le esigenze e i linguaggi dei ragazzi. Funziona perché non è un protagonismo di facciata, ma un percorso che costruisce il presente e il futuro dal punto di vista strutturale. È un buon insegnamento. Avere la possibilità di dare un contributo va letto sempre di più anche in ottica bidirezionale: come le associazioni mettono i volontari in modo di essere protagonisti dell’associazione e viceversa. C’è stato un cambiamento sostanziale per le tematiche ambientali con il movimento globale dei fridays for future che ha rappresentato un’istanza fortissima da parte dei giovani per la preoccupazione sul cambiamento climatico. Ha aiutato a far emergere il tema dalle nicchie ed è stato un momento epocale di sensibilizzazione, forse la più diffusa vissuta sui temi ambientali che favorisce non solo l’attivismo, ma anche l’assunzione di pratiche quotidiane. È stato un momento storico che è servito a tutti”.
Le associazioni si misurano con il ricambio generazionale
Il coinvolgimento dei giovani per una presenza più assidua è al centro delle strategie del volontariato. Gianluca Staderini è il direttore generale delle Misericordie. Ha partecipato al meeting nazionale dei presidenti dei Csv che si è tenuto a Trento, Capitale italiana ed europea del Volontariato 2024. Uno dei temi centrali è proprio il ricambio generazionale. “Ascoltare come vivono i giovani il rapporto con il mondo associativo è una delle cose fondamentali da fare”, dice Staderini. “Come confederazione abbiamo costituito un gruppo di giovani che ha anche una rappresentanza nel consiglio nazionale. Ci sono sicuramente delle criticità: parto da quella che, almeno dal nostro punto di visita, è legata agli assetti che abbiamo. La nostra è secolare, nata a Firenze nel 1244, e ha tutti i pregi e i punti problematici di essere una associazione così antica. Il rischio grande che corriamo è quello di essere troppo autoreferenziali e questo può creare spesso delle difficoltà dentro al movimento”.
Come altre grandi organizzazioni, anche le Misericordie stanno sviluppando diverse strategie per relazionarsi con le nuove leve che hanno sempre la volontà di dare una mano, ma spesso si scontrano con ritmi di vita più altalenanti. “Vogliamo sensibilizzare la governance delle nostre Misericordie a essere accogliente”, aggiunge Staderini, “a saper ascoltare i giovani e anche guidare e farli crescere all’interno delle associazioni. Loro tendono ad arrivare nelle associazioni sul bisogno e sulle progettualità, ma credo che la nostra capacità debba essere quella di saper cogliere quel momento per far loro trovare altro. È cambiato il mondo ed è cambiata la velocità della comunicazione. La comunità non va vista solo all’interno all’associazione, ma in modo allargato perché i giovani si spostano in modalità maggiore rispetto alle generazioni precedenti”.
Le Misericordie stanno creando nuovi strumenti di incontro e momenti formativi. Organizzano corsi aperti alla cittadinanza frequentati anche da molti giovani alcuni dei quali poi rimangono dentro l’organizzazione strutturandosi anche dal punto di vista relazionale. “Il volontariato”, conclude Staderini, “deve avere la capacità di aprirsi alle collaborazioni. Abbiamo tante cose belle da dire e raccontare, sicuramente un’esperienza che dobbiamo poter mettere a disposizione. Dai confronti nascono esperienze che portano benefici prima di tutto all’interno del nostro mondo”.
Cambiare e crescere: ecco cosa vogliono i giovani
Confronto, apertura e più flessibilità di coinvolgimento sono i valori da tenere a riferimento in una società che cambia a grande velocità. Lo sostiene anche Greta Pieracci, volontaria Avis (Associazione volontari italiani del sangue). Da anni è impegnata nell’associazione che promuove la donazione e si occupa del gruppo giovani a livello toscano e nazionale. “Il tempo e la frammentarietà di quello a disposizione è una di quelle questioni e criticità più cruciali per quanto riguarda i giovani che spesso si affacciano al mondo del volontariato con un approccio in cui più che una disponibilità di tempo mettono la disponibilità di competenze. Per capire come poter essere appetibili, abbiamo riscontrato che servono esperienze che per i giovani siano trasformative e di crescita. Per questo devono vivere una crescita su sé stessi. Chi fa volontariato lo fa anche per se stesso e per sperimentare la forma di solidarietà”.
L’azione che perseguono le nuove generazioni oggi segue di più le urgenze, un attivismo che si unisce alla solidarietà e ha bisogno di un riscontro concreto in quello che vedono e fanno. Questo porta la fascia giovanile a fare volontariato, ad aderire con le idee e i principi che una organizzazione ha. Un’adesione più progettuale, più basata sulle azioni. “Forse quello che come organizzazioni dobbiamo fare”, conclude Pieracci, “è cercare di proporre progetti di azione e cose da fare che possono essere l’esperienza delle proprie competenze e la voglia di fare e mettersi in gioco, affezionandosi all’ambiente”.
La motivazione per entrare dentro le organizzazioni è forte, fare qualcosa di più grande di noi. “Ma l’attivismo”, prosegue Farina, “è una motivazione molto importante. Il volontario è molto critico e informato e fa entrare in un circuito dove un argomento lega l’altro. Lo trovo un approccio più maturo per essere veramente cittadini. L’attivismo è un pezzo, ma c’è anche un volontariato più sociale che continua a resistere, come ad esempio quello degli oratori. Alcune organizzazioni sono in difficoltà: non sanno bene cosa fare e fanno fatica a immaginare che se intercettano persone giovani cambierà il modo di fare le attività. Agire in maniera diversa è una fatica grande. Alcune riescono bene a essere contemporanee, ad avere una capacità di innovare e adoperarsi in reale contatto con i bisogni. Così hanno tanti volontari anche giovani. Il gruppo di persone che gestiscono le associazioni sanno fare valutazioni e cambiare assetto. Hanno più speranze di trovare persone che reagiscono ai bisogni. Ci sono altri filoni da esplorare e già si stanno esplorando”.
Trasformazioni in corso, anche sul piano organizzativo
Cambia la società e cambiano anche le sue organizzazioni sociali. Trasformazioni che interrogano chi organizza la vita quotidiana delle realtà di volontariato, ma spingono ad intervenire. Temi a cui il Cesvot, Centro servizi al volontariato della Toscana, ha dedicato uno studio intitolato “La cultura organizzativa degli enti del terzo settore” curato da Andrea Salvini e Irene Psaroudakis, docenti di sociologia all’Università di Pisa. Fra i punti salienti delle conclusioni anche il fatto che “le vecchie classi dirigenti si stanno esaurendo”, sottolineano gli intervistati, “non solo sul piano anagrafico, ma anche rispetto alle rappresentazioni di cui si fanno portatrici; comunque, il processo di invecchiamento genera estesi timori”.
Le questioni in campo non riguardano solo l’avanzamento dell’età media di tutta la popolazione, ma anche le trasformazioni sociali ed economiche che vengono vissute e subite ogni giorno. I modelli organizzativi spesso connessi all’erogazione di servizi, con alta qualità e un crescente livello di specializzazione. Nello studio si sottolinea anche come i volontari che decidono di aderire a una associazione dedicano sempre meno tempo e continuità a tale azione. Per questo molte organizzazioni sono concentrate sul ripensamento organizzativo come conseguenza di un nuovo ruolo per gli enti del terzo settore, per essere anche luoghi di aggregazione. Un cantiere sempre aperto per rendere le organizzazioni più aperte e orizzontali perché il volontariato non sta scomparendo, si sta rinnovando, rispondendo alle trasformazioni che l’intera società vive giorno dopo giorno.
C’è la forte esigenza di partecipare con forme di impegno nuove e meno rigide, una maggiore flessibilità che impone spesso anche un ripensamento delle azioni messe in campo. Le associazioni stanno facendo i conti con queste trasformazioni, modificando e adattando il proprio modo di fare per rimanere il punto di riferimento di chi vuole contribuire a rendere più giusta, equa e sostenibile la comunità in cui vive. Non per sottrarsi alle responsabilità che la cittadinanza attiva richiede, ma per rafforzare le capacità relazionali con le persone e le comunità e non dover finire a fare i conti con le difficoltà di gestione del tempo e dei compiti che il volontariato richiede. Una responsabilità che il volontariato stesso ha in mano per mantenere quella fiducia che i giovani gli riservano.