di Marco Benedettelli – 15 gennaio 2025

Povertà in giacca e cravatta: aumentano le persone che chiedono aiuto alle mense

 Crescita vertiginosa di utenti nelle strutture che offrono a tutti un pasto caldo. L’Italia si scopre fragile e sola. Oltre ai migranti arrivano anche i pensionati, i lavoratori precari o quelli che non ce la fanno a reggere l’urto delle spese

I numeri sono triplicati, le persone che arrivano per un pasto caldo sono diventate almeno centoventi, anche di più certi giorni. Il crescendo si è innescato dopo lo spartiacque pandemico e di sera tra i tavoli allineati del salone, nella vasta sala luminosa di un’ex chiesa, ogni persona ha un problema diverso da raccontare, che dice molto dell’Italia contemporanea e dei suoi gruppi sociali più fragili. È così nella mensa sociale di Ancona, è così nelle tante strutture gestite da associazioni di volontariato che operano dal Nord al Sud dell’Italia, nei grandi centri come in provincia.

C’è il pensionato con la minima che non arriva a fine mese, c’è chi soffre di dipendenze, chi è appena uscito di prigione. Arrivano persone che per un po’ hanno potuto contare sul reddito di cittadinanza e ora non ce la fanno più a portare il cibo in tavola tutti i giorni. Oppure c’è l’uomo di mezza età che è rimasto solo e confida ai volontari tutto il suo disorientamento, ci sono i migranti in attesa che aspettano d’essere accolti in qualche struttura gestita dalla Prefettura, ma che, durante il lentissimo disbrigo delle carte, vivono in strada da settimane, oppure c’è la famiglia di sudamericani atterrata con un visto turistico che ora cerca di trovare il proprio futuro in Italia.

Ma la descrizione della fotografia si potrebbe fare sempre più dettagliata, quel che conta è che in tutta Italia, da Milano a Palermo, da Roma ai centri di provincia, crescono i numeri di accesso ai servizi di mense sociali, centri diurni, empori solidali per chi sta scivolando sul piano sempre più reclinato del bisogno e della fragilità sociale. E l’impegno del volontariato, su questo fronte, è sempre più intenso e generoso. Dopo la flessione del numero dei volontari in Italia registrata dall’Istat nel 2021, ora le associazioni intervistate parlano tutte, o quasi, di un turnover con un ritorno di volontari pronti a stringersi attorno ad associazioni sempre più impegnate nel far fronte a indigenze vecchie e nuove.

Che la povertà sia in aumento non lo testimonia solo il Terzo settore ma anche la statistica. Secondo Istat, i poveri assoluti lo scorso anno sono saliti, da 5 milioni 317mila a 5 milioni 674mila (+ 357mila unità).

Da dove nasce questo aumento di domande? Riflette Stefania Papa, referente dell’area promozione umana della Caritas Ancona Osimo: “Si sono moltiplicati i problemi, aumentano le contraddizioni, negli ultimi anni è emersa una pluralità di situazioni molto sfaccettate che coinvolgono una fascia sempre più ampia di popolazione. La povertà grigia, come la chiamiamo noi, è venuta a galla.  Le persone che fino a qualche tempo fa riuscivano a restare in equilibrio hanno iniziato a cedere e non arrivano più a coprire tutti i propri bisogni materiali”. A generare questa cascata di problemi c’è un intreccio di fattori vicini e lontani, guerre, speculazioni, tagli del welfare, cambiamenti antropologici in atto e altro ancora, che impattano soprattutto su chi ha meno risorse economiche per fare fronte. Il rapporto Caritas 2023, “Tutto da perdere”, spiega che povertà ed esclusione sociale hanno aumentato la loro incidenza dal 9,1 per cento al 9,7 per cento nel giro di un anno. Si contano 2 milioni 187mila famiglie in povertà assoluta, a fronte dei 2 milioni 22mila famiglie del 2021 (+165mila nuclei). Gli stranieri, che rappresentano solo l’8,7 per cento della popolazione residente, costituiscono il 30 per cento dei poveri. E poi ancora, continua lo scandalo della povertà minorile, che coinvolge un milione e 270mila persone, il 13,4 per cento in Italia, il 15,9 per cento nel Sud. È un’indigenza quella in famiglia che si trasforma in povertà educativa. Ad Ancona per esempio, nel periodo di settembre mentre questa inchiesta è in preparazione e le scuole hanno appena riaperto, gli operatori raccontano che sono stati tanti i genitori arrivati per chiedere un grembiulino o penne e quaderni negli empori solidali. 

La casa, un problema anche per i lavoratori poveri.

Dalla mensa Caritas di Ancona sulla costa dell’Adriatico con il mare dall’altra parte della strada, all’hinterland della metropoli milanese, il disagio insiste su analoghe note. “La gente in difficoltà c’era prima e c’è adesso. Ma ora la differenza sta nella maggiore disperazione, perché mancano le soluzioni”, commenta lucido Fiorenzo De Molli, operatore Casa della Carità di Milano, un centro che, dati del Bilancio sociale alla mano, lo scorso anno ha supportato 11.597 persone, con un aumento sensibile di entrate ai servizi diurni di via Brambilla: 2.957 al centro di ascolto (+ 64,4 per cento), 2.198 allo sportello di tutela legale (+ 58,1 per cento), 1.336 a docce e guardaroba (+ 18 per cento),  2.726 agli sportelli per la residenza fittizia (+ 30,9 per cento).

L’associazione si occupa di senza dimora, “gli ultimi degli ultimi degli ultimi”, spiegano gli operatori. A Milano il problema abitativo è enorme. Le case ci sarebbero pure, ma o sono sfitte o hanno prezzi esorbitanti. C’è un mare di persone costrette a vivere nell’ombra, in stanze in nero e in condizioni di sfruttamento. “Senza residenza in Italia diventa complesso accedere ai più differenti servizi e il numero di persone che vive in queste condizioni è impressionante. È per questo che in Casa della Carità gestiamo uno sportello per la residenza fittizia”,  continua Fiorenzo De Molli, “Negli ultimi anni si sono rivolte a noi 12mila persone, uscendo da una condizione d’invisibilità altrimenti difficile da rilevare”.

La mancanza di lavoro è fra le principali voragini del problema abitativo, ma ormai è difficile anche aiutare le persone a trovare un’occupazione tramite gli sportelli d’indirizzo. I contratti sono brevi, le condizioni precarie e fragili o sottopagate. D’altronde, come rilevato anche dal rapporto Caritas Italia “Tutto da perdere”, i lavoratori poveri in Italia sono in crescita e quelli che si sono rivolti ai servizi solidali arrivano al 22,8 per cento dell’utenza. Si tratta di lavoratori in nero, in grigio, part time forzati, con contratti regolari ma con salari inadeguati. Il 47 per cento delle famiglie in povertà assoluta ha il capofamiglia occupato. Secondo Istat, in Italia ci sono 2,7 milioni di lavoratori poveri, l’11,5 per cento degli occupati rispetto a una media europea dell’8,9 per cento e nel Sud e nelle Isole questa incidenza sale al 20,3 per cento e al 21,9 per cento. È diventata del 14,7 per cento la quota di operai/assimilati che vive in povertà assoluta (nel 2021 l’incidenza era del 13,8 per cento) mentre tra gli operai/assimilati stranieri la percentuale di poveri assoluti sale al 34,6 per cento.

Senza lavoro o con un lavoro sottopagato non si riesce a uscire dall’ombra, a trovare una casa dignitosa, una vita normale. Ancor più quando non si può contare su una rete di supporto, come chi arriva da un altro Paese. Un fenomeno dove nuove dinamiche migratorie e povertà abitativa si mescolano è quello delle persone dal Sud America. La questione è ricorrente, lo testimonia ad Ancona la Caritas, lo ribadisce a Milano Casa della Carità. “Dal Perù, dall’Ecuador, dalla Colombia, non ne abbiamo mai viste arrivare così tanti. Sono intere famiglie che atterrano con un visto turistico e poi cercano di restare. Trovano una casa in subaffitto per un primo periodo, ma poi non reggono ai rincari, alle richieste sempre più esose degli affittuari e vengono a chiederci un supporto”, aggiunge Fiorenzo De Molli, “È come se, specialmente dopo la pandemia, siano crollate le economie di sussistenza dei loro Paesi o la violenza diffusa sia diventata sempre più dura. Il numero dei sudamericani supera oramai quello di chi viene dall’Africa subsahariana”.

Un altro volto del crescere delle fragilità arriva dall’Opera Cardinal Ferrari, centro solidale a due passi dall’università Bocconi. Nell’ultimo anno anche qui i numeri dell’accoglienza hanno avuto un’impennata. Lo racconta il Bilancio sociale 2023. Gli ingressi singoli alla struttura diurna sono cresciuti del 30 per cento, il 32 per cento quelli alla mensa per un totale di 56.821, le colazioni sono aumentate del 115 per cento, le docce del 26 per cento, la lavanderia è anche più richiesta. Sono 170 le perone che in media ogni giorno accedono ai servizi, su più di 540 registrate. Gaia Faini, assistente sociale di Opera Cardinal Ferrari, spiega: “Dopo il Covid il fenomeno che abbiamo più percepito è nell’aumento delle persone con problemi psichiatrici. Uomini che magari arrivano da zone limitrofe a Milano, nella speranza di accedere a migliori servizi nella grande città. Oppure vengono anche dal sud Italia e scoprono di avere dei disturbi mentali durante i colloqui con i nostri operatori. È così che iniziano a curarsi in modo specifico da quei problemi psichiatrici che in passato li hanno spinti alla vita di strada, lontano da casa”. Ma in aumento è anche il disagio delle dipendenze, la ludopatia difficile da individuare ma devastante, o quell’alcolismo fatto di troppi “bianchi” al bar. Sono tanti gli anziani che si rivolgono al centro a cadere in entrambe le spirali.

Senza il Reddito di cittadinanza, pacchi spesa in aumento.

A Roma il polso della situazione è dato da un’associazione storica come Nonna Roma odv che, nella capitale, consegna a domicilio pacchi viveri a duemila famiglie al mese, su sette territorialità. Anche qui, c’è stato un boom di richieste. Dallo scorso settembre il numero di pacchi viveri è balzato del 40 per cento. Se si calcolano le tempistiche, l’aumento si è innescato dopo l’abolizione del Reddito di cittadinanza, come racconta Anastasia Vasapollo, responsabile della Comunicazione di Nonna Roma: “Questo strumento è stato un palliativo alla povertà per una platea immensa a Roma, che quando ne è rimasta sprovvista, da un giorno all’altro è scesa in una situazione di indigenza più grave, fino a chiedere aiuto per mettere cibo in tavola”. Famiglie con un background migratorio, anziani soli che non arrivano a fine mese con la pensione, le persone che chiedono supporto sono le più differenti, in un contesto di problematiche multidimensionali. Racconta ancora Vasapollo: “Ho incontrato una signora in uno dei nostri empori della solidarietà che sceglieva il suo pacco di pasta in base al minutaggio di bollitura, per cercare di andare al risparmio sul gas”.

Anche in Sicilia, i dati Istat e del rapporto Caritas, non certo rassicuranti, trovano un riscontro fatto di volti, bisogni reali e domande. Lo testimoniano le attività della odv palermitana Anibras. “Negli ultimi anni c’è stato una forte aumento delle richieste legate a quelle che si possono chiamare le nuove povertà. La domanda dei pacchi alimentari è cresciuta del 50 per cento almeno”, racconta Sabrina Ciulla, presidente Anibras. Anche qui, l’affiorare di nuovi bisogno e difficoltà coincide soprattutto con l’abolizione del reddito di cittadinanza, che fin quanto è durato è stato una risorsa per dare sollievo a tante situazioni critiche. “Proprio ora, mentre sto parlando, attorno a me i volontari dell’associazione stanno preparando i cinquecento pasti che distribuiamo in tutta Palermo e provincia”, aggiunge Ciulla. I migranti in città sono prevalentemente di passaggio, stanno qualche giorno alla stazione e poi ripartono. L’apertura di quattro nuovi poli per senza dimora ha permesso a molti di trovare un tetto per la notte. Tantissime richieste vengono da quelle famiglie monoreddito, con più figli, che non riescono ad arrivare a fine mese.

Ancora nel Centro Italia, nell’entroterra marchigiano, in una città medio piccola come Fermo i temi della povertà si ripropongono in scala ridotta, ma con dinamiche molto simili ai centri più grandi. Lo testimonia il lavoro del Ponte, un’associazione che opera nel territorio da 37 anni. E prepara circa 50 o 60 pasti al giorno con la mensa sociale e segue centottanta famiglie con i pacchi alimentari, operando in rete insieme ad altri enti solidali del territorio. In un lavoro di prossimità che permette forse di osservare più da vicino alcuni fenomeni della propria comunità: “Di sicuro, dagli ultimi anni, c’è stato un grande aumento dell’isolamento e della solitudine fra le persone”. racconta il presidente dell’associazione Il Ponte Silvano Gallucci. “Prima del Covid, nella mensa si mangiava tutti assieme, ora facciamo fatica a riportare le persone attorno allo stesso tavolo. In tanti preferiscono prendere il loro asporto e andarsene. È una solitudine che si consuma anche sprofondando per ore nei propri telefoni. Ultimamente è venuta meno quella reciprocità di mutuo aiuto prima più visibile fra ospiti”. L’associazione segue famiglie che, anche nelle Marche, non arrivano a fine mese perché monoreddito o con lavori sfruttati e mal pagati, e che non possono permettersi alcuna attività culturale, sportiva, educativa e formativa. “Altri non riescono ad amministrare il proprio budget familiare e bruciano il poco denaro in cose superflue, frastornati dai modelli culturali degli ultimi anni”. Fra le tantissime e sempre più diverse richieste che si affacciano, è sentito con particolare urgenza il tema sanitario. “Vediamo che chi è senza sufficienti risorse non riesce ad accedere ai servizi medici. Per molti questo è fonte di grande angoscia”.

E i volontari?

Di fronte a questa richiesta sempre più pressante, la risposta dei volontari c’è. Almeno secondo le testimonianze raccolte a campione durante questa inchiesta, è come se le loro fila andassero a rimpolparsi, dopo le flessioni indicate dall’Istat nelle rilevazioni del 2021. Intanto un dato generale, l’Osservatorio del Fio.Psd – Federazione italiana degli organismi per le Persone senza dimora, conferma a Vdossier che “Oggi il volontariato continua ad avere un ruolo determinante nei servizi. Alcuni piccoli dormitori di provincia si reggono quasi unicamente sul lavoro dei volontari, ma anche le mense, il volontariato su strada per la distribuzione di cibo e indumenti. Possiamo anche dire che negli ultimi anni il settore si è professionalizzato con la presenza di molti educatori professionali, psicologi e assistenti sociali all’interno degli stessi gruppi volontari”. Sono undicimila i volontari che fanno parte delle 146 realtà socie di Fio.Psd, nove su dieci di queste contano su di loro. Tra le realtà intervistate, nella Casa della carità di Milano lavorano un centinaio di dipendenti, ma poi ci sono altrettanti volontari “e guai se non ci fossero, perché fanno di tutto, dalla scuola di italiano, al centro d’ascolto”, raccontano gli operatori. Più di venti volontari sono detenuti che escono dal carcere di Bollate in articolo 21 e vengono a prestare servizio.

All’Opera Cardinal Ferrari, invece, ci sono tanti giovani, arrivano anche dall’università Bocconi, indirizzati dagli sportelli di ateneo, la loro presenza magari è intermittente ma ormai costante. Anche alla Caritas di Ancona e a Nonna Roma il numero di persone che fanno volontariato è tornato a crescere o si è stabilizzato dopo la flessione della pandemia, consentendo a queste realtà di affrontare maggiori carichi di servizio mentre a Fermo al momento l’associazione il Ponte fa più fatica a creare un turnover. È emblematica l’evoluzione di Anirbas di Palermo, come racconta Sabrina Ciulla: “Prima del Covid eravamo un centinaio di volontari, con la pandemia questo numero è crollato e nei momenti peggiori del contagio eravamo rimasti in pochissimi. Poi da lì siamo ripartiti, e l’associazione si è rifatta una squadra. Abbiamo ripristinato tutto, la nostra è una lotta contro la povertà che sta invadendo la città”.

Un guardaroba solidale © Marco Garofalo

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