*MARCO SCHIAFFINO
Avvocato prestato al giornalismo. Esperto e divulgatore sui temi hi-tech e sicurezza informatica. Collabora con diverse testate online e cartacee, come il Fatto Quotidiano, Left e SecurityInfo.it. Voce di Radio Popolare Milano dove cura la rubrica Doppio Click su tecnologie, Internet e dintorni.
Promuovere, coinvolgere, trascinare e informare: il World Wide Web è uno strumento perfetto per spingere le attività di volontariato e dare visibilità a una causa. L’uso degli strumenti digitali, però, nasconde trappole e insidie che troppo spesso siamo portati a sottovalutare. Dalla protezione della privacy al possibile sfruttamento dei contenuti per scopi commerciali: fare un uso consapevole degli strumenti di comunicazione online è più difficile di quanto possa sembrare.
I LIMITI DI LEGGE: COSA POSSIAMO PUBBLICARE?
Cominciamo dalla parte più facile: le normative sulla privacy in Italia riguardano sostanzialmente la necessità di ottenere il
consenso delle persone ritratte in foto o video. Il tema è particolarmente delicato per quanto riguarda bambini e minorenni, per cui serve l’autorizzazione dei genitori. Le cose, però, possono complicarsi parecchio anche quando c’è l’apparente consenso del genitore. Prima di tutto perché raramente si chiede un consenso scritto (alzi la mano chi lo ha mai chiesto ai genitori di ragazzi che stavano partecipando a un evento) e in assenza di prova scritta diventa difficile dimostrare che il consenso sia stato effettivamente espresso. Il rischio, poi, è che entrino in gioco fattori dovuti a condizioni particolari, come il caso in cui vi siano dei genitori separati e uno dei due contesti la liceità del consenso. Affari loro? Fino a un certo punto. Il rischio che l’associazione di cui facciamo parte finisca per essere coinvolta in una causa civile forse dovrebbe portarci a qualche riflessione. Solo la necessità di presentarsi in un’aula di tribunale, infatti, è qualcosa sufficiente per provocare
un danno.
OLTRE LA LEGGE: LE STRUMENTALIZZAZIONI COMMERCIALI
Ogni volta che utilizziamo un social network, è indispensabile ricordare che la piattaforma che stiamo usando non è
messa a disposizione per scopi filantropici. Ogni fotografia, video, post, messaggio e comunicato viene inevitabilmente e sistematicamente monetizzato. Ogni “like” che incassiamo su Facebook, ogni retweet e ogni cuoricino su Instagram rappresentano un mattoncino nel processo di profilazione degli utenti iscritti al social network, che poi vengono utilizzati per veicolare pubblicità personalizzata agli utenti che hanno espresso il loro gradimento. Certo: si tratta di una contropartita che a livello di opinione pubblica è stata assimilata come “necessaria”. Spesso, però, la pervasività dell’attività di profilazione viene sottovalutata.
PROFILATI SÌ, MA QUANTO?
Lo scorso maggio, il CEO di Signal (una società che mette a disposizione un software di messaggistica orientato alla tutela della privacy) ha dimostrato quale sia la quantità di informazioni che i social network forniscono agli inserzionisti, avviando una campagna pubblicitaria in cui ogni messaggio riportava esattamente le informazioni che gli erano state fornite in quanto “clienti” del sistema pubblicitario. I messaggi erano del tipo “Vedi questa pubblicità perché fai da poco l’istruttore di pilates e ami i cartoni animati. Vivi a La Jolla, frequenti blog genitoriali e stai pensando di avviare una procedura
di adozione come genitore LGBT”. Inutile dire che Instagram (di proprietà di Facebook Inc.) ha prontamente bloccato la
campagna pubblicitaria. Il messaggio, però, è abbastanza chiaro e riguarda anche chi usa i social per promuovere attività di volontariato.
Insomma: ricordiamoci che quando coinvolgiamo qualcuno nelle attività della nostra associazione sui social network,
stiamo indirettamente contribuendo alla sua profilazione.
CHI USA I NOSTRI DATI?
La raccolta di informazioni personali sui social network avviene prevalentemente a opera di chi li gestisce. La parola chiave,
però, è “prevalentemente”. Tutti questi dati, infatti, non rimangono solo nel perimetro di Facebook, Twitter, TikTok e soci. Stiamo parlando, infatti, di un patrimonio digitale che, per le sue stesse caratteristiche, è facilmente duplicabile e condivisibile. Esiste una fitta e intricata rete di soggetti (agenzie pubblicitarie e società di marketing) che si dedicano quotidianamente alla raccolta, elaborazione e monetizzazione delle informazioni raccolte su Internet. Non si tratta solo dei contenuti pubblicati sui social network, ma anche delle cronologie di navigazione online e di qualsiasi altra informazione
reperibile tramite strumenti tecnici. Teoricamente si tratta di informazioni anonimizzate, in cui gli “utenti” non sono indicati per nome e cognome. Se si sommano i dati relativi alla navigazione, quelle dei contenuti pubblicati, dei luoghi visitati
(i nostri bellissimi smartphone hanno un GPS estremamente efficiente), delle informazioni personali fornite, passando per i
sistemi di riconoscimento facciale basati su intelligenza artificiale, arrivare all’identità “fisica” di una persona diventa un gioco da ragazzi.
IL CINISMO DEI BIG DATA
A questo punto della lettura, qualcuno avrà pensato: “Ma in fondo che danno può fare un’informazione che collega una persona a un’attività di volontariato o a una causa umanitaria?” In un mondo perfetto, nessuno. Nel mondo in cui viviamo, però, le cose funzionano in maniera diversa. A utilizzare le informazioni che “seminiamo” sul Web, infatti, non sono soltanto le agenzie pubblicitarie.
Ci sono società che utilizzano questi dati per fornire servizi di ogni tipo: dall’affidabilità a livello di solvibilità di un debitore per l’assegnazione di un mutuo alla valutazione di un candidato a un posto di lavoro. Mario Rossi partecipa alla giornata
per la lotta ai tumori? Potrebbe avere un parente malato e trovarsi a sopportare spese mediche ingenti in un prossimo futuro: cattivo debitore. Simone Bianchi fa volontariato con i bambini disabili? Se ha un figlio disabile potrebbe essere meno disposta alle trasferte o agli straordinari: meglio assumere qualcun altro. Alessandra Verdi sostiene i diritti LGBTQ+? Sarà sicuramente una piantagrane pronta a denunciare per molestie qualsiasi atteggiamento “sopra le righe” del suo capo, meglio scegliere un’altra impiegata per la promozione. Paranoia? Un po’. Purtroppo la cronaca recente conferma che l’uso dei dati di profilazione su Internet sta arrivando (e sicuramente arriverà) a livelli quantitativi e qualitativi che superano qualsiasi distopia orwelliana.
Non è il caso di buttare lo smartphone e fracassare il computer con un martello. Ma un po’ di attenzione in ciò che pubblichiamo… Ecco, quella sì.