In una società sempre più digitalizzata e vocata al vivere 24/7 sulle piattaforme sociali, il mondo dell’editoria si interroga da anni sul futuro dell’Informazione, sulla qualità di ciò che si comunica online, sull’attendibilità di ciò che letteralmente finisce dai device direttamente nelle mani dei cittadini e sul come poter mettere al bando, in luoghi virtuali così disintermediati, notizie false e pericolose per la Comunità.
Il progressivo crollo di vendite dei media tradizionali che, lungi dall’essere privi di manipolazioni e liberi dal rischio di diffondere fake news hanno quantomeno il pregio di poter garantire una responsabilità civile e penale per quanto viene diffuso tramite i propri canali, ha involontariamente facilitato la preponderanza di piattaforme sociali dove la diffusione incontrollata di informazioni scarsamente attendibili, quando non deliberatamente false, è realtà quotidiana.
Anche la televisione generalista, regina incontrastata per l’informazione e l’intrattenimento degli italiani per oltre mezzo secolo, non sembra più capace di fare argine. Soprattutto per i giovani essa non rappresenta più un mezzo di comunicazione privilegiato a cui fare riferimento per aggiornarsi su cosa accade nel mondo. In base ai dati forniti dall’Auditel, riferiti alla prima parte della corrente stagione televisiva (26 settembre – 27 dicembre 2021) il consumo di tv è drasticamente sceso nella fascia tra i 20 e i 24 anni (-28,69%) e in quella tra i 25 e i 34 anni (-24,28%) rispetto al 2020. Anno in cui, complice il lockdown, la tv aveva conosciuto al contrario una generale ripresa rispetto al 2019.
Anzi, le famigerate fake news trovano terreno fertile soprattutto in occasione dei grandi stravolgimenti determinati dal manifestarsi di elementi nuovi e imprevisti: la diffusione della pandemia da Covid-19 e l’istantanea circolazione di teorie complottiste in ambito sanitario e politico ne sono il più chiaro esempio. Di conseguenza sono sempre più i soggetti pubblici e privati quotidianamente impegnati nell’attuare azioni di debunking, cioè impegnati al mettere in campo strategie di intercettazione, mappatura e contrasto alla circolazione di notizie non verificate. Tra questi soggetti, anche i volontariati sono della partita per cercare di costruire barriere contro chi, volontariamente o meno, avvelena i pozzi dell’Informazione.
Su questo fronte, gli statunitensi sono stati tra i primi ad aver attuato “dal basso” delle misure di debunking organizzato. Indivisible, movimento nato nel 2016 in reazione all’elezione di Donald Trump, ad esempio, ha lanciato nel 2021 una campagna per la costituzione di gruppi di volontari, autodefinitesi poi “Truth Brigade” e che, coordinandosi due volte a settimana, sono attivi costantemente nel campo del fact-checking politico.
Esperienza simile è quella di DebunkEU, centro studi e organizzazione non governativa che combatte la disinformazione e organizza campagne di alfabetizzazione mediatica, focalizzando la sua azione in particolare sui paesi quali Polonia, Georgia, Montenegro, Stati Uniti e Macedonia del Nord, chiamando a raccolta volontari per monitorare social media e aiutare gli analisti a lavorare su contenuti in diverse lingue.
Guardando in casa nostra, sta per compiere due anni Covid19 Italia Help, il progetto nato dalla collaborazione tra Action AID e Slow News con l’obiettivo di intercettare e verificare notizie dubbie segnalate direttamente dagli utenti, oltre a fornire informazioni sulle campagne solidali attivate in contrasto all’emergenza.
Combattere l’odio generato dalla diffusione di informazioni false è invece l’intento di Hate Speech, osservatorio sulle dinamiche generate dal dilagare di fake news, lanciato lo scorso aprile da Openpolis e Oxfam Italia, che si concentra in particolare su temi quali le migrazioni, le diversità e i diritti. Attraverso il servizio Check news i lettori possono segnalare informazioni trovate sul web per chiedere di verificarle. Elisa Bacciotti, responsabile campagne Oxfam Italia, precisa che l’obiettivo dell’iniziativa “non è solo trovare una terapia efficace contro i danni provocati dalle notizie malate d’odio, ma anche promuovere lo sviluppo di una comunità di cittadini impegnati a diffondere attivamente questa possibilità di cura”.
Il volontariato è stato quindi in grado a più livelli di riconoscere il problema e di attuare misure di contrasto; con un efficacia probabilmente ancora marginale rispetto all’entità del male, ma con la consapevolezza che la strada intrapresa sta generando processi virtuosi.
Immagine di Jorge Franganillo/Flickr.com