Il volontariato è un ingrediente essenziale della ripartenza. La cooperazione di donne e uomini che si rimboccano le maniche per aiutare gli altri è l’elemento alla base della storia dell’uomo. Secondo Federico Rampini, saggista, giornalista e corrispondente del Corriere della Sera da New York, la prova deriva dalla cosiddetta “seconda fase” della pandemia, quella relativa all’avvio della macchina vaccinale. Oltre all’incredibile apporto del volontariato durante il lockdown della primavera 2020, infatti, anche in questa fase dell’emergenza sanitaria il supporto delle volontarie e dei volontari è stato fondamentale. Rampini, nel sostenere la sua tesi, si affida a quanto ha visto negli Usa: “Quando è stato necessario far funzionare alla massima potenza i centri vaccinali, l’instancabile lavoro di migliaia di persone, pronte a dare il proprio sostegno alla comunità, non è mancato”.
La storia ha insegnato agli statunitensi come comportarsi: “Quando la crisi del 1929 devastò l’economia nazionale e la sua società, il New Deal di Roosevelt portò alla nascita del welfare state, di quelle politiche sociali che mostrarono agli americani l’importanza della cooperazione. In quella occasione, centinaia di persone di ogni estrazione sociale misero in campo la propria disponibilità per risollevare il Paese”. È immediato, quindi, il confronto con quello che italiani ed europei stanno vivendo in questi mesi e Rampini traccia il parallelo tra quel piano di rilancio americano di novanta anni fa e la pioggia di euro che l’Unione Europea sta riversando sul Vecchio Continente attraverso il piano New Generation.
Federico Rampini, il titolo di un suo libro è “Ripartire, ricostruire, rinascere: è la storia che lo insegna”. La storia è certamente un’ottima insegnante, ma i suoi alunni sono in grado di coglierne gli insegnamenti? “Citando Cicerone, la storia è maestra di vita, ma noi siamo allievi distratti e, soprattutto, tendenziosi. Una delle trappole della storia è che noi tendiamo a darne una lettura ideologica. Questa, viene manipolata, riscritta a seconda delle nostre preferenze del momento. Un esempio macroscopico è quello della Cina, che mette mano di continuo ai suoi manuali, in funzione della lettura che vuole dare del presente. Anche noi, individualmente, abbiamo la tendenza a scivolare verso una lettura della storia più consona ai nostri pregiudizi e preconcetti. Per questo, bisogna sempre fare un esame critico del modo in cui noi la leggiamo. Non è una cosa facile, lo capisco, ma farlo è avvincente. Non bisogna accettare gli stereotipi nemmeno con eventi di duemila anni fa. Nel primo capitolo parlo del crollo dell’Impero Romano e questo evento è carico di insegnamenti attuali”.
Nel suo libro scaturisce una particolare fiducia nell’uomo e nel futuro: in caso di crisi, l’uomo è sempre riuscito a riprendersi e migliorare. Stiamo affrontando l’emergenza Covid. Riusciremo, anche in questo caso, a ripartire? “Questa è proprio la genesi del mio libro, una raccolta di 40 anni di letture appassionate di storia, di ciò che mi ha ispirato e informato per svolgere il mio lavoro, che mi ha reso un nomade globale. Sono un giornalista internazionale, corrispondente estero, sono stato inviato in quattro continenti. La molla finale, ciò che mi ha spinto a scrivere questo libro, è stata la pandemia e parto proprio da questa considerazione che dovrebbe rasserenarci tutti: l’umanità si è sempre risollevata da catastrofi ben peggiori di questa. Il libro è una rassegna di tragedie, ciascuna delle quali si conclude con il lieto fine. Nel Dna della specie umana c’è una resilienza, una resistenza, una capacità di risollevarsi. Studiare le tragedie del passato ci invita a non piangerci addosso, anche perché il piagnisteo è poco costruttivo.
Bensì è utile sapere quanto peggiori siano state alcune calamità che l’umanità ha affrontato, anche molto recenti, per trarne
insegnamenti. Ogni volta ci siamo risollevati. Ricordarcelo è già di per sé rasserenante. Un’altra cosa fondamentale, poi, è capire quali sono gli ingredienti di questa nostra capacità, per trarne qualche lezione per il futuro”.
A tal proposito, nei momenti più difficili vissuti durante l’emergenza sanitaria, il volontariato ha avuto un ruolo fondamentale per superare ostacoli che apparivano insormontabili. Secondo lei, la figura del volontario è uno di questi ingredienti? “Certamente, è un ingrediente fondamentale. Premetto che mi sento fortunato e onorato di parlare di questi temi con chi fa volontariato. Perché, in un certo senso, dentro il mio libro c’è questa convinzione: nei libri di storia, quella con la “S” maiuscola, si narrano le gesta di grandi leader, di condottieri, imperatori, re, presidenti, di uomini della provvidenza che hanno trascinato interi popoli verso la rinascita, ma la realtà ci insegna che tutte le storie di rinascita sono corali.
Nei manuali, dove spesso si parla di uomini e molto raramente delle donne che hanno fatto la storia, a causa di un’impronta
maschilista, ci si dimentica che la rinascita è un’operazione collettiva. La storia è fatta di intere comunità che si sono unite, hanno trovato una missione comune e questi sforzi collettivi hanno consentito la rinascita. Guardiamo a quello che accadde con Franklin Delano Roosevelt, grazie al quale emerse tra gli anni 20 e 30 del ‘900 uno spirito di servizio nel settore sociale.
Con il New Deal riuscì a fare nascere una nuova burocrazia, agenzie che iniziarono ad occuparsi del rilancio dell’agricoltura,
sempre animate da persone che credevano di essere davvero al servizio dei cittadini. Negli Stati Uniti d’America ancora oggi
ci si ricorda come chi lavorasse nel New Deal di Roosevelt si sentisse un missionario. Siamo ripartiti sempre con sforzi corali e collettivi, non è mai stato un uomo solo al comando a ricostruire un Paese distrutto.
Quindi, il ruolo del volontariato è fondamentale in tutto il mondo. Io vivo negli Stati Uniti e devo dire che l’operazione vaccini non sarebbe stata così veloce, soprattutto nella prima parte del 2021, quando improvvisamente c’è stato un decollo nelle vaccinazioni. Ovunque uno andasse a farsi vaccinare era circondato da volontari. Le strutture normali, la cosiddetta “macchina sanitaria ordinaria”, non ce la faceva da sola. È stato il volontariato a fare la differenza e di esempi così potrei citarne molti di più.
Che cos’è ripartenza dunque? “Ripartenza è quando si è collettivamente stremati da una calamità e si trova la forza
psichica per risollevarsi. Parlo di nazioni, popoli, civiltà intere, di aggregati di persone che subiscono un evento catastrofico naturale, di tipo climatico, per esempio, oppure sanitario – le pandemie sono una costante della storia umana – oppure ancora, una guerra. Ci si guarda attorno e si vedono solo campi di macerie. Prima dei soldi, delle risorse, del capitale, prima di tutto, questi trovano l’energia psichica collettiva per risollevarsi, senza cedere allo sconforto. Il primo passaggio della ripartenza, quindi, è proprio questo, ovvero trovare la forza morale e psichica per non cadere nella disperazione o, peggio, nella divisione. Un’altra tentazione che potrebbe colpire una comunità quando si è nel mezzo di queste tragedie collettive è di scatenarsi in una caccia al colpevole, cercare dei capri espiatori, dare la colpa a qualcuno per poter sfogare tutto il risentimento e la sofferenza. È un diversivo pericoloso che non serve altro che a sprecare energie”.
Nel suo libro e durante il suo intervento a Solidaria a Padova ha raccontato di quando è andato a Hiroshima… “Quell’episodio per me è diventato una delle principali ispirazioni per la scrittura di questo libro. Sono un giornalista inviato accreditato alla Casa Bianca a Washington e fa parte del mio lavoro accompagnare i presidenti nei loro viaggi. Ne ho accompagnati diversi. Ho vissuto in Asia e ho visitato parecchie volte il Giappone, ma quel viaggio col presidente Barack Obama fu la prima occasione che ebbi per visitare Hiroshima. Fu una visita che aveva anche degli aspetti tragici, la prima cosa che fai là è visitare il memoriale dedicato alla bomba atomica sganciata il 6 agosto del 1945. Hiroshima è una delle due città al mondo ad avere subito l’olocausto nucleare, è un luogo dov’è accaduta una tragedia senza precedenti nella storia umana.
Però, arrivare lì, e scoprire oggi che è divenuta una città bellissima, con più di un milione di abitanti, dove c’è una qualità della vita notevole, contraddice tanti nostri stereotipi: Hiroshima è la dimostrazione della capacità umana di ricostruire sulle macerie. Disastri peggiori di una bomba atomica non ne abbiamo vissuti, ma anche lì siamo stati capaci di fare miracoli”.