Oltre la metà dei bambini e le bambine del mondo non ha accesso ai libri e si trova in uno stato di estrema vulnerabilità. Prima della pandemia nei Paesi in via di sviluppo l’Unicef ha calcolato 1 miliardo di bambini deprivati di sicurezza, educazione, salute, casa, nutrimento, acqua, igiene. Nel 2021, a causa della pandemia, si sono aggiunti altri 150 milioni di bambini in tutto il mondo. Il conflitto in Ucraina sta aggravando la situazione.
Con l’obiettivo di ‘resistere’ alle disuguaglianze e costruire nuovi ponti di idee e conoscenze per prendersi cura dei bambini in situazioni di alto rischio, lo scorso 22 marzo, durante la 59^ Bologna Children’s Book Fair, si è tenuto il convegno “Infanzie ai margini: progetti di lettura in contesti vulnerabili”. Professioniste dai diversi continenti hanno condiviso esperienze di alcune realtà non profit che portano i libri per l’infanzia (e non solo) nei luoghi dove mancano, per nutrire quei bambini con libri di qualità provenienti da culture diverse, aiutare a riparare il trauma, sostenere il loro sviluppo e la creazione di generazioni capaci di relazionarsi in maniera pacifica e tollerante.
“C’è un senso di impotenza di fronte a queste ingiustizie che sono imposte ai bambini – ha affermato Zohreh Ghaeni, responsabile di ‘Read with Me’, progetto iraniano realizzato da IRHCL – Institute for Research on the History of Children’s Literature che nel 2016 ha vinto il premio IBBY-Asahi Reading Promotion Award. – Come singoli individui non possiamo fermare le guerre, cambiare certe politiche. Ma possiamo agire come un ombrello, offrire loro protezione e dirgli di non perdere la speranza. Questa è una responsabilità umana per coloro che come noi lavorano in piccoli gruppi, in posti isolati, disagiati, armati solo dei nostri libri per rendere la vita di questi bambini anche solo un po’ migliore”.
Grazie alle caratteristiche di replicabilità, flessibilità e sostenibilità con cui è stato ideato, Read with me dal 2010 ad oggi ha portato la lettura ad alta voce a giovani adulti e bambini in contesti differenti e particolarmente difficili. I volontari lavorano con profughi, terremotati, bambini che non hanno accesso alle opportunità socio-educative perché considerati migranti illegali, piccoli che vivono e/o lavorano in strada in aree remote e povere dell’Iran, dove sono spesso sottoposti ad abusi e altro genere di violenze. Il progetto è presente anche in asili, orfanotrofi, e nei reparti pediatrici degli ospedali. La lettura partecipata in un contesto protetto offre ai bambini l’opportunità di godere momenti piacevoli, li stimola a parlare delle loro storie, dei problemi, le emozioni e i sentimenti che li attraversano. Si attivano così azioni di ‘recovery’, si sviluppano abilità emotive e sociali. Parallelamente a questa attività,il progetto realizza laboratori di formazione e un tutoraggio costante a insegnanti, bibliotecari, volontari e alle mamme (alfabetizzate o non), per coinvolgerle nella lettura di libri con o senza parole.
Dall’Iran ci spostiamo in Sud America con Bel Santos Mayer, coordinatrice dello Human Rights Program presso IBEAC – Instituto Brasileiro de Estudos e Apoio Comunitário: “Il Brasile è un Paese abituato a vivere nella violenza. Ogni 27 minuti un giovane nero viene ucciso, spesso per mano dello Stato. Ogni giorno i bambini non sanno se i loro genitori e i loro fratelli rientreranno a casa. Che senso ha parlare della letteratura in questo contesto? Generalmente si dice che a persone così basta dare da mangiare. Noi invece siamo tra coloro che scommettono nella lettura come strumento per costruire non solo il futuro, ma anche il presente”. Santos Mayer ha raccontato i progetti realizzati nel quartiere Parelheiros di San Paolo, considerato il peggior posto della città dove vivere. Lì nel 2009 IBEAC ha realizzato la ‘Biblioteca Comunitária Caminhos da Leitura’ all’interno del cimitero di Colônia, unico spazio disponibile, e vi ha intrapreso un lavoro con gli adolescenti che avevano una scarsa alfabetizzazione, per avvicinarli alla lettura e alla conoscenza e comprensione dei diritti umani. “I colori e le etnie li facevano sentire diversi e generavano attrito. Qualsiasi cosa era motivo di attrito, rallentava il movimento, lo sviluppo – ha spiegato Santos Mayer. – Ma è su quegli attriti che abbiamo iniziato il processo di trasformazione di giovani non lettori in giovani lettori. Con loro poi abbiamo creato le ‘Strade adottate’: vie del quartiere dove trovare spazi di gioco e lettura, così da renderle non più luoghi pericolosi, ma luoghi di incontro e costruzione di comunità”. In quelle zone è nato il Centro de Excelência em Primeira Infância, non uno spazio fisico vero e proprio, ma un concentrato di azioni per dare forma all’idea di “trasformare il luogo più brutto in cui vivere nel luogo più bello in cui nascere”, attraverso varie possibilità di far vivere la maternità assaporando i libri.
Attraversiamo l’oceano e andiamo in Africa con Katherine Uwimana, esperta di approcci innovativi all’alfabetizzazione e di letteratura per l’infanzia. Lei ha raccontato gli esiti di uno studio commissionato da una ong che voleva sapere quanto la biblioteca di comunità realizzata in prossimità di un campo profughi del Ruanda fosse capace di sostenere l’apprendimento e la formazione in base all’età dei suoi frequentatori, abitanti dei villaggi e rifugiati. “La biblioteca di comunità ha diverse funzioni – ha spiegato Uwimana. – Stimola l’impegno civico della comunità, stimola i bambini a imparare da soli, incoraggia la lettura, favorisce lo sviluppo culturale ed economico, l’apprendimento permanente e l’inclusione digitale. Per ognuno di questi elementi abbiamo valutato l’efficacia della biblioteca, in particolare nei confronti dei bambini profughi.” Lo studio ha mostrato diverse criticità, come la difficoltà nel realizzare programmi di inclusione digitale dove manca accesso all’elettricità, la mancanza di servizi dedicati all’infanzia e alle famiglie, una quasi totale assenza di frequentatrici di sesso femminile, una collezione di libri scarsamente accessibile per via del gap linguistico. “Al termine dello studio abbiamo consigliato alla ong di non intraprendere nuovi progetti prima di risolvere i problemi esistenti – ha affermato Uwimana. – Quando si crea una biblioteca di comunità è fondamentale partire da una reale lettura dei bisogni della popolazione. Bisogna dotarsi di un catalogo con libri scritti nelle lingue conosciute dagli utenti, ma anche interessante e piacevole per i diversi pubblici. Bisogna formulare programmi di coinvolgimento e formazione diversificati, pensati per stimolare l’apprendimento adeguato all’età e aumentare la frequentazione femminile.”
Attraversiamo di nuovo l’oceano con Maria Beatriz Medina, direttrice esecutiva dell’associazione Banco del Libro de Venezuela, che ha raccontato alcuni progetti della sua non profit, operativa da 62 anni. Tra questi “Palabras por y para la no violencia” nel 2012 ha vinto il premio Unesco-Hamdan per le pratiche innovative nel campo dell’educazione che sostengono lo sviluppo di comunità ai margini. Il Banco del Libro ha portato attività di lettura partecipata sulla non violenza a gruppi di bambini nelle scuole di Chacao e Baruta, in un periodo di forti tensioni sociali nel Paese, durante il quale la violenza era un fenomeno in forte crescita. “Grazie a un’accurata selezione di libri, la lettura letteraria ci ha dato la possibilità di aprire la porta a un mondo più plurale e favorire la internalizzazione del linguaggio e delle parole che usiamo. Perché le parole sono ciò che usiamo per verbalizzare ciò che sentiamo – ha spiegato Medina -. Abbiamo dimostrato che i libri sono ‘ponti di comprensione’, perché la parola pronunciata, scritta, elaborata e registrata simbolicamente ci connette e ci aiuta a lavorare con e sulle difficoltà del mondo che ci circonda. E quando questo non è sufficiente bisogna farci noi stessi ponti, con la relazione diretta.”
Torniamo in Africa per l’ultima tappa di questo ‘viaggio’ con Alison Tweed, amministratrice delegata di Book Aid International, non profit inglese attiva specialmente in Africa per portare “i libri giusti nei luoghi giusti” dove altrimenti non arriverebbero. Tweed ha focalizzato l’attenzione su un progetto a favore dei rifugiati in Uganda, Paese che accoglie oltre un milione e mezzo di persone di cui circa il 60 % di minore età, con una politica piuttosto aperta che permette loro l’accesso a diversi servizi. “Operando insieme alla ong Transcultural Psychosocial Organisation, con persone che sono rifugiate per molto tempo nei campi di Bidi Bidi e Adjumani, è stato possibile realizzare spazi dove i bambini sono seguiti, possono sentirsi sicuri e in pace, e fanno cose adatte alla loro età. Leggono, giocano, apprendono, senza rischiare bullismo o abusi di altro genere” – ha spiegato Tweed. Book Aid porta nei campi libri selezionati dal proprio stock, in cui sono presenti titoli di autori locali e in lingua locale, per favorire e incoraggiare la lettura, lo sviluppo della cultura e della formazione permanente. Il progetto tenta di lavorare anche sull’inclusione e l’integrazione attraverso la realizzazione di biblioteche scolastiche dove la lettura diventa un momento di incontro tra tutti i bambini (anche autoctoni) che vivono nella zona.