Con l’approssimarsi delle elezioni amministrative, l’associazione culturale Rilindja, che opera da anni a L’Aquila con iniziative di integrazione a favore prevalentemente di cittadini immigrati dall’Albania e dalla Macedonia del Nord, ha posto l’attenzione su una questione particolarmente sentita tra le comunità non italiane residenti nel nostro Paese, ovvero sul diritto di voto in Italia dei cittadini stranieri.
L’argomento è certamente delicato e in massima parte sconosciuto ai più, soprattutto per il suo essere particolarmente articolato.
Abdula Salihi, attivissimo Presidente dell’associazione, conosciuto in città come Duli, prova a tracciarne i contorni, partendo innanzitutto dal differente trattamento tra cittadini comunitari e cittadini non comunitari. Spiega essenzialmente che i cittadini comunitari che vivono in Italia godono del diritto di elettorato attivo e passivo in occasione delle elezioni comunali e circoscrizionali (tranne che per le cariche di sindaco e vicesindaco), purché abbiano presentato regolare domanda di iscrizione a una lista elettorale aggiunta nel Comune italiano di residenza nelle modalità e nei tempi indicati dalla legge.
Per i cittadini non comunitari la situazione cambia sensibilmente. Del tema si è interessato il Consiglio d’Europa a Strasburgo nel 1992 ribadendo piena libertà di espressione, riunione e associazione ai residenti stranieri, indipendentemente dalla loro nazionalità; affrontando il tema della rappresentanza e della loro partecipazione, dell’istituzione di organismi consultivi e l’adozione di dispositivi per consentire loro di esprimere pareri sui temi della vita politica che li riguardano più da vicino; riconoscendo il diritto di voto attivo e passivo a livello locale a tutti i migranti che risiedano legalmente in uno dei Paesi membri da almeno 5 anni.
Con la legge 203/1994 l’Italia ha ratificato la “Convenzione di Strasburgo del 1992” tranne che per l’ultimo, cruciale, punto, ritenuto in contrasto con l’articolo 48 della Costituzione. Come precisato successivamente da una circolare del Ministero dell’Interno nel 2004, i cittadini non comunitari, ancorché facenti parte integrante della società civile, rimangono esclusi dal suffragio universale a livello locale. “In mancanza di questo riconoscimento, a livello statale, dei valori fondamentali riconosciuti da una cultura giuridica ed istituzionale europea”, precisa Salihi, “ecco che è maturata l’iniziativa autonoma di alcuni Comuni e di alcune Regioni, che hanno previsto nei propri statuti, senza attendere ulteriori interventi o autorizzazioni legislative, il diritto degli stranieri stabilmente residenti a esercitare i diritti elettorali in ambito locale. Un caso è il Comune di Genova, il cui Consiglio comunale il 27 luglio 2004 ha deliberato a larga maggioranza una modifica dello statuto della città, che include nell’elettorato attivo e passivo anche gli stranieri non comunitari maggiorenni, legalmente residenti nel Comune da almeno due anni. Altri esempi sono i Comuni di Torino e di Ancona”.
A L’Aquila l’associazione Rilindja è costantemente impegnata in iniziative di integrazione di tipo educativo, culturale e sportivo. Nei mesi scorsi ha promosso un corso di lingua albanese per bambini di terza generazione. “Un ragazzo che non conosce le proprie origini è come un albero senza radici. Pertanto l’impegno nel custodire la propria cultura, lingua e tradizioni è un obbligo morale etico di ogni persona”, aveva dichiarato in quell’occasione il Presidente, ribadendo in quel contesto anche l’importanza della figura del mediatore linguistico a servizio della comunità di stranieri residente in città, sia come strumento di integrazione, sia come soluzione alle grandi difficoltà di interlocuzione che quotidianamente gli stranieri e i funzionari o impiegati degli uffici pubblici si trovano reciprocamente ad affrontare.
Ora Salihi propone la seguente riflessione: “Uno Stato democratico che esclude una parte cospicua dei residenti e dei lavoratori (che sono una parte costituente della società) dalla vita politica e, a mio avviso dal “diritto” di voto, si trasforma in uno Stato non democratico. Un Paese generoso come l’Italia, che per anni ha seguito con grande sforzo le politiche multiculturali d’inclusione e non programmi di rimpatrio, non può lasciare che sia il tempo a decidere. Inoltre, chi rifiuta la rappresentanza degli immigrati rifiuta una visione liberale, rifiuta il principio democratico della rappresentanza per cui un uomo libero non può sottoporsi a leggi che non ha contribuito a formare”.