C’è chi smonta un frullatore, chi richiude la scocca di un computer portatile esultando quando sente l’ultima plastica andare ordinatamente al suo posto e c’è chi arriva portando un sacchetto pieno di bottiglie di bibite e una torta , offrendola a tutti. Gli occhi sono religiosamente fissi sui cacciaviti torx, sul saldatore che si sta scaldando, le bocche invece chiacchierano, raccontano le proprie esperienze, la giornata passata e quanto quel ferro da stiro, quel giocattolo, quella bicicletta, quel telecomando un po’ unto sia ricco di ricordi e quanto sia bello potere rivederlo in funzione. Questa è la scena che si para davanti a chi visita un Restart Party, una festa popolare, dove volontari esperti riparatori accolgono i cittadini e i loro oggetti rotti, cercando insieme di ripararli, salvandoli dalla fine prematura in discarica, evitando di inquinare e di incidere negativamente anche sui magri portafogli già tartassati dalla crisi economica.
“Riparare per noi significa riparare soprattutto relazioni”, racconta Gianni Trippi, presidente di Restarters Firenze. “Ed è anche un processo educativo in quanto abbiamo perso nel nostro codice genetico l’idea che un oggetto si possa aggiustare. Con la nostra azione volontaria, in un certo senso, cerchiamo quindi di riparare questo bug genetico. Il fatto, oltretutto, che le persone vengano da noi e non si sentano semplicemente un utente che porta un oggetto, che ce lo lascia e lo viene a riprendere aggiustato, ma che ci rimane accanto, seguendo passo passo ogni fase della riparazione, diventando co-protagonista, innesca la relazione generativa. Noi diventiamo, insomma, un tutt’uno con l’oggetto e la persona che ce l’ha portato”.
I Restarters, così si chiamano tra di loro, sono presenti ad Aosta, Torino, Milano, Trieste, Firenze e nell’area piemontese delle Langhe Roero, sia sotto forma associativa riconosciuta, sia come gruppi informali, tutti nati raccogliendo l’idea/format nata a Londra nel 2012 per mano di due ex cooperanti, Ugo Vallauri e Janet Gunter, appena rientrati da esperienze in Asia, America Latina e Africa, latitudini dove poco o nulla degli oggetti e della tecnologia finisce prima del tempo nella spazzatura e quasi tutto viene riparato.
“Qui a Firenze, nasciamo da un gruppo informale che si chiamava Libera Informatica, concentrandosi sul sistema operativo GNU/Linux e facevano Trashware, cioè davamo nuova vita ad harware vetusto. Qualcuno però aveva già avuto contatti con Ugo Vallauri su a Londra e così tredici anni fa abbiamo, diciamo, intrapreso questa nuova avventura. Per aiutare durante i restart party anche chi aveva computer con sistema operativo Windows, abbiamo deciso di dare vita all’associazione Restarters Firenze. Ovviamente la nostra fiosofia rimane quella di preferire, consigliare e promuovere l’adozione di soluzione Open Source, ma certe dinamiche durante questi eventi pubblici ci impongono di dover operare anche su dispositivi che funzionano con software proprietario. Il nostro poi diventare associazione ha fatto un po’ scuola per gli altri gruppi di Restarters venuti dopo, proprio a livello di passi burocratici da fare, assicurazioni da stipulare e quant’altro”.
Il cambio di sensibilità che sta avvenendo grazie a movimenti come Fridays fo future e le figure magnetiche come Greta Thunberg hanno influito sulla vostra attività? “L’azione di questi gruppi hanno un po’ modificato sì, ma siamo sempre lì: l’utente medio che viene da noi è già sensibilizzato e sensibile a quei temi. Il cittadino che chiamiamo ‘medio’ è ancora inconsapevole del danno che stiamo facendo prendendo e buttando oggetti riparabili. Siamo, infatti, molto a nostro agio a organizzare Restart Party in luoghi culturali, come le biblioteche o in ciclofficine. Però, pur essendo delle esperienze bellissime e che ci hanno dato tantissimo, sono di fatto luoghi a noi affini, affini alla nostra sensibilità. Dovremmo uscire dalla nostra bolla, dove veniamo ricercati da realtà e spazi che già hanno una predisposizione per i nostri temi, dove è facile fare comunione di intenti”.
E su questo i giovani non sono forse più attenti ai vostri temi? “Lo sono, ma è anche vero che il riparare, il ricondizionare oggetti come smartphone pone dei limiti ‘generazionali’ nell’avvicinarci a quella fetta di cittadinanza. Con i sistemi operativi open source possiamo dare nuova vita a vecchi device sì, utili per la vita di tutti i giorni. Come però puoi spiegare a un giovane che avendogli installato Lineage OS è sì più libero, è sì più eco-sostenibile, ma non ha poi la possibilità di godere di app come TikTok e altre battutissime piattaforme social che sono presenti solo con sistema operativo Android? Per migliorare la situazione, la sensibilità culturale, dovremmo quindi andare nelle scuole, partire dal basso. Alle volte ci andiamo anche, ma noi siamo volontari con un lavoro, è difficile far combaciare gli orari”.
E la pubblica amministrazione come vi tratta? “Il mio sogno, visto che abbiamo iniziato a fare rete, è che nasca un Restarters Italia, soprattutto perché oggi stiamo allacciando diverse collaborazioni in molte aree della penisola con i nascenti repair caffè e quindi sarebbe proprio bello un gioco di squadra nazionale, appunto anche per dialogare meglio con le Pubbliche Amministrazioni, come è avvenuto nel nostro caso con il Comune di Firenze e la rete di economia circolare. Ma il rapporto non è automatico. Abbiamo per esempio aperto una collaborazione con il Comune di Massa Carrara, comune che aveva un problema proprio sui temi della raccolta differenziata. Pensavamo di aver trovato lì persone pronte a creare un gruppo di restarters, ma la proposta non ha attecchito. A oggi non abbiamo compreso il perché. Di certo non è semplice trovare tutor nuovi anche qui a Firenze, soprattutto tra i giovani. Troviamo volontarie e volontari dai 50 anni in su. Nulla di male, anzi siamo felicissimi di averli con noi ovviamente, ma sarebbe bello avere dei giovani smanettoni nella nostra squadra”.
E quindi che fare per rilanciare le attività, allargando il gruppo dei volontari? “La sfida del futuro sarà quello di battere sempre più luoghi inattesi, magari profit o spazi pubblici di largo passaggio, dove uno non si aspetta di trovare dei restarters e un Restart Party, come mercati, come piazze. Certo, si deve scendere a compromessi, ci si deve adattare, ma è questo il bello della sfida!”.