“Le artiste nella Fondazione non sono assolutamente testimonial, ma parte di un laboratorio artistico. Non è neanche un comitato, è proprio un laboratorio artistico” ci accoglie così Giulia Minoli, Presidente della Fondazione Una Nessuna Centomila, andando subito al cuore dello stile dell’Ente che coinvolge artisti e artiste insieme nella lotta contro la violenza sulle donne.
Chi partecipa all’attività della Fondazione “sono artiste e artisti che prima di impegnarsi si informano, leggono, cioè non danno il loro appoggio senza prima aver veramente approfondito la causa. Quindi sicuramente la differenza, secondo me sostanziale, è che effettivamente si sentono coinvolte/i perché si sentono toccate/i quasi personalmente dalla causa e quindi vogliono davvero sostenerla. Sono tutte persone che portano un contributo vero e stimolano un confronto innanzitutto sui contenuti. Noi accogliamo artisti e artiste che hanno questo tipo di sensibilità”.
La Fondazione raccoglie fondi per i centri antiviolenza italiani, ma si pone anche l’obiettivo di incidere sul piano culturale rivolgendosi, attraverso la visibilità degli artisti, anche a pubblici meno sensibili, compresi i più giovani.
“Tutto il percorso è partito dalla Casa internazionale delle donne di Roma della quale sono stata per tre anni vicepresidente” precisa Giulia Minoli. La Casa, un consorzio di associazioni che forniva diversi servizi di sostegno alle donne nel cuore della capitale, ha rischiato di essere chiusa per ragioni economiche. “In quel momento ho organizzato, con un collettivo, una chiamata alle arti” per appianare i debiti facendo raccolta fondi con concerti dedicati. Paola Turci, Noemi, Jasmine Trinca, Emma tra coloro che per prime hanno raccolto la sfida, insieme a Fiorella Mannoia con la quale, dopo quelle esperienze, Giulia Minoli ha ideato e costruito il grande concerto Una Nessuna Centomila a Campovolo a settembre 2021. In quell’occasione “sono stati raccolti due milioni di euro. È stato un record assoluto, non era mai successo tramite un concerto per un tema così specifico non legato a una catastrofe.”
Quelli raccolti, poi, sono fondi che Minoli chiama “liberi”: liberi di essere spesi per attività ordinarie, fuori dalla logica dei progetti, dell’innovazione, dalle priorità dei donors, dai vincoli indicati dai bandi. Fondi che sono solo i centri a stabilire come debbano essere spesi per rispondere alle esigenze che loro stessi leggono sul territorio.
Per la Fondazione, infatti, i centri antiviolenza, “non sono solo beneficiarie dei fondi della Fondazione, ma sono anche organizzazioni partner, alle quali chiediamo di contribuire con le loro proposte e con le loro campagne di comunicazione. Anche in questo il modo di coinvolgere che attua la Fondazione è innovativo: il mondo delle associazioni molto spesso è tenuto un po’ al margine dei temi della comunicazione, invece vorremmo che ne fossero protagoniste con l’obiettivo di far conoscere anche l’importanza del loro lavoro.”
La Fondazione sta perseguendo questa declinazione innovativa del “coinvolgimento” non solo nell’aggregare “artisti responsabili” e nelle alleanze con “associazioni partner”, ma anche nella costruzione di una comunità consapevole, rivolgendosi ai giovani e giovanissimi attraverso artisti coetanei e popolari come Massimiliano Caiazzo (di Mare Fuori) e i suoi social; ma anche presidiando gli appuntamenti più popolari (Sanremo) o intellettuali (i festival culturali) così da portare messaggi e contenuti a un numero sempre più ampio di pubblico.
Che la formula funzioni lo dicono i numeri: “nel momento in cui abbiamo presentato pubblicamente la Fondazione già dal giorno dopo abbiamo avuto tantissime mail, di donne e uomini che si volevano offrire come volontari per dare supporto di caratura professionale alla Fondazione. Sicuramente c’è un grande desiderio di essere presenti su questo tema, di dare il proprio contributo, ma c’è anche un vuoto nel trovare uno spazio in cui impegnarsi. Noi abbiamo fatto come prima azione un’assemblea dove abbiamo invitato tutti i centri antiviolenza di tutta Italia e sono venute in tantissime. Tra di loro molti non si conoscevano, dalla Calabria, dalla Sardegna. Tutte cose che nel mondo associativo, magari sono normali, ma che in questo mondo qui lasciano la possibilità di un confronto, di una condivisione, anche delle problematiche. Quindi, secondo me, la direzione è di cercare di essere un ombrello, uno spazio dentro al quale chi è in prima linea, come chi lavora nella cultura o chi semplicemente vuole dare un suo contributo può venire e trovare un luogo d’incontro. Sarà un’ambizione difficile però è il nostro obiettivo.”