Circa tredicimila persone, di cui oltre il 50 per cento sotto i 30 anni. Ricavi (dell’ultimo anno fiscale) pari a circa a 1.318 milioni di euro, in aumento del 23 per cento rispetto all’esercizio precedente. Ventiquattro sedi sul territorio. La previsione di 4.500 assunzioni nel prossimo anno fiscale. Con questi numeri Deloitte è tra le più grandi realtà, in Italia, nei servizi professionali alle imprese e con il suo network di società è presente in oltre 150 Paesi del mondo. Altrettanto avanzata è la sua esperienza nell’ambito della Rsi (responsabilità sociale d’impresa) e, nello specifico, del volontariato d’impresa, come racconta Guido Borsani, presidente di Fondazione Deloitte.
In Deloitte promuovete esperienze di volontariato che coinvolgono le vostre risorse umane. Da dove viene questo impegno?
Per noi fare business in maniera responsabile vuol dire cercare di creare un impatto positivo per le persone che lavorano in Deloitte, per i clienti che serviamo e per le comunità in cui operiamo: tre elementi tutti parimenti importanti. All’interno di questo quadro, WorldImpact è la nostra strategia di responsabilità sociale e ambientale. E la attuiamo sia con iniziative, sia promuovendo l’impegno delle nostre persone attraverso il volontariato, come pezzo di una strategia molto ampia. Più di due anni fa, in piena pandemia, le società del network Deloitte in Italia e Fondazione Deloitte hanno lanciato Volunteer Hub, che inizialmente è stato un progetto pilota, e oggi è il nostro programma di volontariato aziendale.
Come siete arrivati a un programma dedicato?
Come Fondazione finanziamo, sosteniamo e promuoviamo una serie di iniziative. Però ci siamo sempre resi conto del fatto che, essendo una società di servizi professionali, non abbiamo produzione o impianti, abbiamo solo persone, e con un alto livello di competenza, praticamente tutte laureate in ambiti molto specialistici. La nostra ambizione è sempre stata quella di riuscire a mettere in campo anche le competenze delle nostre persone, che hanno un grandissimo valore. Per metterle a disposizione di soggetti del terzo settore è nato il Volunteer Hub, un progetto condotto in tandem dalla Fondazione e dalla nostra funzione risorse umane, interamente gestito da persone Deloitte.
Dunque com’è strutturato e come funziona?
È strutturato su una nostra piattaforma informatica. Tutte le persone del network Deloitte in Italia possono aderire e fare volontariato in orario lavorativo, fino a massimo 6 ore al mese. Vedono quali sono le opportunità di volontariato attive, nelle diverse aree di intervento –educazione e istruzione, orientamento al lavoro, cura dell’ambiente e salvaguardia della natura, diversità e inclusione– e poi scelgono liberamente.
Quali sono le offerte-tipo che si possono trovare?
Ci sono sia azioni di volontariato in presenza, sia da remoto. Attività che noi chiamiamo di competenza e altre generiche. Così come ci sono anche attività di volontariato più pratiche. Poi c’è l’ultima distinzione, tra attività in cui è previsto un intervento della persona e altre in cui è possibile o è richiesto di aggregarsi in gruppi.
L’offerta di volontariato di un Ets come entra nella vostra piattaforma?
C’è un processo di accreditamento, con verifiche e controlli amministrativi, formali. Impiegando delle persone in un’attività di volontariato codificata, scattano anche meccanismi di tutela assicurativa, ci devono essere tutte le tutele previste in questi casi. E poi c’è una fase di messa a fuoco, insieme all’ente beneficiario, di quello che è effettivamente il bisogno e di come calarlo nella realtà del tipo di competenze che possiamo esprimere noi. Quindi, insieme all’ente si mette a punto la scheda per la piattaforma.
Qual è la partecipazione delle vostre risorse umane?
Nell’ultimo anno sono state erogate 3.300 ore di volontariato, 22 le organizzazioni non profit beneficiarie, più di 100 le attività svolte. Circa il 50 per cento hanno richiesto competenze specifiche. Poco più del 70 per cento sono state in presenza e questo è il segno della transizione post Covid. L’adesione al programma è trasversale. Un’iniziativa come questa, che riporta nell’orario lavorativo un’attività di volontariato, probabilmente qualche decennio fa sarebbe suonata in maniera molto strana anche ai dipendenti. Ma per le nostre persone è una cosa assolutamente normale, gradita e per certi aspetti anche ricercata.
Che risvolti emergono?
Da un sondaggio su un campione di 200 partecipanti, il 90 per cento ha percepito come concreto l’impatto positivo che ha generato e il 99 per cento lo consiglierebbe ad altri colleghi. Rispetto alla tipologia di interventi, c’è particolare gradimento per le attività in gruppo, tant’è vero che abbiamo potenziato i volunteer days. E questo secondo me un po’ si incrocia anche con il tema aziendale dello stare insieme condividendo un obiettivo. Il concetto importante è che noi riconosciamo il valore della cosa e l’aspettativa che hanno le nostre persone a riguardo. Il nostro sforzo va nella direzione di mettere a disposizione diverse tipologie e opportunità, perché le sensibilità, gli approcci e le preferenze sono tutti diversi. Tutti quelli che si occupano o hanno fatto volontariato, sanno che è un momento di arricchimento importantissimo per chi lo fa. Quindi se dovessi estendere il concetto, con un’analogia magari un po’ forzata, è un momento di arricchimento per le persone, per i team, ma alla fine per l’azienda intera.