Semplicemente persone volatilizzate, sparite senza lasciare traccia. Secondo i dati diffusi dal governo sono 24.369 le denunce di scomparsa registrate nel solo 2022, con un incremento del 26,46 per cento rispetto all’anno precedente. La buona notizia è che il 49,94 per cento ha fatto ritorno a casa, la cattiva è che la sorte di metà di essi, invece, rimane appesa al filo del dolore di famigliari e amici che ogni giorno che passa perdono speranza, salute e alle volte, purtroppo, la vita. Però anche in questi scenari così delicati, complicati e bui il non profit riesce spesso a fare la differenza. Complicati perché ogni scomparsa non è uguale all’altra.
A partire dai minori dove nel computo delle scomparse rientrano gli allontanamenti dei così detti “minori migranti non accompagnati” per ricongiungersi spontaneamente con le famiglie una volta sbarcati sulle coste italiane. Un fenomeno differente è invece la sottrazione di minore da parte di uno dei due genitori per farlo espatriare e ancora più diverso è ovviamente il rapimento di bambini per tratta, per il mercato degli organi o compiuto da predatori sessuali. Una cosa però accomuna indistintamente quasi tutti i casi di scomparsa, che riguardino grandi o piccoli, italiani o stranieri: l’automatismo istituzionale nel considerarli come allontanamenti volontari “fino a prova contraria”.
E su questo gelido approccio burocratico che primariamente si innesta la contro azione di Associazione Penelope Odv, realtà nata nel 2002 da un’idea di Gildo Claps, fratello di Elisa Claps, ragazza scomparsa a Potenza nel 1993, il cui corpo fu ritrovato 17 anni dopo nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità, luogo dal quale si erano perse le sue tracce. Oggi l’associazione conta 20 sezioni territoriali, una per ogni regione e decine di volontarie e volontari all’attivo, perlopiù professionisti che prestano attività pro bono a sostegno della mission che da oltre vent’anni rimane pressoché invariata, come ci racconta Annalisa Loconsole, storica attivista, per tre anni presidente, oggi vice presidente vicario dell’associazione e referente della sezione pugliese.
“Quando 17 anni fa è scomparso mio padre, mi sono resa conto che in Italia non c’era alcuno strumento per poter ricercare le persone scomparse. Tutte le nostre richieste alle istituzioni preposte venivano percepite come un’esagerazione, un puntiglio della famiglia, un eccesso da parte nostra. Ciò nonostante avessimo dichiarato in denuncia che mio padre avesse problemi di Alzheimer e quindi poteva non essere presente a sé stesso, soprattutto nella stagione estiva.
Quindi ho incontrato per la prima volta l’associazione Penelope, volontarie e volontari provenienti da tutte le parti d’Italia che lamentavano le stesse carenze nelle loro regioni. Questo mi ha fatto capire che dovevo unirmi a loro e assumere l’impegno civile di far cambiare la situazione, cercando di farlo però per tutti, per qualsiasi classe sociale e per tutte le famiglie che si fossero trovate a vivere una situazione come la mia, come la nostra”.
Convegni, fiaccolate, campagne social, interventi mirati nei consigli comunali, l’attività delle volontarie e volontari è instancabile nel tentativo di pungolare la macchina burocratica e istituzionale: “Ci battiamo perché il presunto allontanamento volontario diventi automaticamente e istantaneamente un presunto reato. Solo così la macchina delle ricerche può funzionare alla massima potenza. Diversamente, non si può accedere ai tabulati telefonici, o capire eventuali movimenti bancari. Certo le Prefetture hanno i piani provinciali per la ricerca delle persone scomparse che scattano nell’immediato, ma se dopo una settimana, dieci giorni la persona non viene ritrovata, tutto si spegne e il problema rimane in capo alla famiglia.
Famiglia, che ovviamente può anche accettare la possibilità che un proprio congiunto abbia voluto allontanarsi di sua spontanea volontà, ma deve essere messa in condizione di esserne certa. Infatti, spesso si tratta di soggetti che appartengono alle fasce deboli della società, che si dileguano da strutture dove erano in cura, oppure donne a rischio maltrattamento, o minori le cui famiglie hanno dovuto combattere per far catalogare il caso come rapimento seppur senza richiesta di riscatto. Pensiamo alla coraggiosa e instancabile madre di Denis Pipitone e la fatica che continua a fare per avere ascolto”.
E sfogliando le centinaia di segnalazioni trattate dall’associazione in questi ventuno anni si nota quanto sia necessaria la presenza di un volontariato capace di suonare la sveglia contro incuria, sottovalutazione e oblio: emblematici sono i casi di donne scomparse “di loro spontanea volontà fino a prova contraria” che hanno addirittura lasciato il ferro da stiro o il fornello acceso o la sigaretta nel posacenere prima di sparire nel nulla e, che, guarda caso, dopo anni, si è scoperto essere state vittime di omicidio con occultamento di cadavere. Oppure, persone comuni, maggiorenni, poi ritrovate, dopo anni, sul fondo di scarpate perché hanno avuto un incidente d’auto, finiti in luoghi non visibili, coperti ormai da vegetazione.
La lotta all’oblio, parimenti, è l’altra pietra d’angolo associativa: “Sono 17 anni che cerchiamo mio padre e non l’abbiamo trovato ancora. Uso e sottolineo la parola ancora perché noi non abbiamo mai smesso di cercarlo, in Penelope nessuna e nessuno scomparso viene archiviato. Noi facciamo l’interesse della famiglia perseguendo un scopo primario, cioè quello della ricerca della verità e di capire dove è andata a finire quella vita che sembra dissolta nel nulla. Non ci sostituiamo alle istituzioni. Faccio un esempio: se la scomparsa è legata a frequentazioni non sincere del soggetto scomparso, avrà avuto le sue ragioni per sparire certo, ma i famigliari hanno diritto di sapere la verità. Ci rispondono ‘ma è maggiorenne’… e quindi a noi non dovrebbe interessare? Perché dovremmo disinteressarci della loro sorte?”.
Le istituzioni, dal canto loro, sempre un po’ divise tra senso di gratitudine e di diffidenza rispetto a un’agguerrita realtà non profit dotata di grande esposizione mediatica, capita invece che recepiscano le istanze di Penelope, trasformando in meglio l’esistente. In questo caso rientra la creazione dell’ufficio del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, figura afferente al ministero dell’Interno, nata proprio grazie all’impegno di Penelope Odv, associazione che però dal canto suo ha dovuto a sua volta “affinare” il proprio approccio operativo per essere in grado di interfacciarsi con competenza e autorità in gineprai burocratici, nazionali e internazionali.
“Abbiamo volontarie professioniste e volontari professionisti che operano in regime di gratuità, mettendo a disposizione il proprio know how lavorativo. In primis avvocati penalisti e civilisti per interfacciarsi con le procure, per presentare pratiche e ricorsi. Ma anche avvocati esperti di diritto di famiglia e internazionale, che ci aiutano nei casi di sottrazioni di minori, insomma che aiutano gratuitamente le famiglie a interfacciarsi con ambasciate, la Farnesina e in primis, appunto, con l’ufficio del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse. Quello che resta ancora carente è, invece, l’assenza di squadre operative interforze specializzate nella ricerca. Per esempio in caso di scomparsa di cittadini italiani all’estero la nostra interlocuzione rimane purtroppo sul piano burocratico con le ambasciate, non scalfiamo se non il livello amministrativo insomma. L’ambasciata quindi chiede conto alle forze dell’ordine del Paese in questione e riporta alla famiglia ciò che le viene riferito, punto, fine. E la ricerca dov’è?”.
Altra battaglia istituzionale ancora aperta e lontana dal risolversi positivamente Penelope la sta combattendo per il funzionamento a pieno regime in Italia della banca dati del dna. Il database è stato istituito con la legge 30 giugno 2009 n. 85 ed è nato primariamente per contrastare efficacemente il terrorismo, la criminalità organizzata transfrontaliera e l’immigrazione clandestina. Tra le sue finalità spicca però anche quella dell’identificazione delle persone scomparse, anche se sarebbe più consono, in questo caso, riferirsi ai corpi non identificati: “Ci prendiamo cura anche di loro, ma purtroppo, nonostante che da circa cinque anni il data base sia fattivamente operativo, abbiamo all’interno solo mille profili. Ci battiamo istituzionalmente per accrescere la sensibilità dei vari ministeri, perché si impegnino a far sì che non sia solo un contenitore privo di contenuto”.
E dove le istituzioni preposte non ascoltano, associazione Penelope svolge anche un ruolo di advocacy per denunciare il mal funzionamento nell’operato di chi è preposto soprattutto alle prime ricerche: “Lo facciamo tramite report e analisi puntuali che consegniamo alle autorità nazionali di vigilanza. Queste storture che denunciamo impattano direttamente le famiglie. Io stessa ho rischiato di essere denunciata per aver assunto un atteggiamento risoluto nei confronti di un pubblico ufficiale. Dopo mesi dalla scomparsa di mio padre nulla si stava muovendo nelle indagini se non io che andavo a portare le locandine da loro e stop. In un momento di rabbia e sconforto, diciassette anni fa, diedi loro degli inetti”.
Altresì associazione Penelope deve molto della sua notorietà, oltre al suo impegno indefesso al fianco dei famigliari delle persone scomparse, anche al programma Chi l’ha Visto?, trasmissione di servizio che dal 30 aprile 1989 in casa Rai registra share da record, sviluppando un culto di fedelissimi telespettatori. Questa visibilità non è per Penelope fonte di preoccupazione. Una stretta vigilanza e un tasso di impegno elevato, fattivamente, sembrano preservarla dall’essere infiltrata da volontari in cerca del voyeurismo del dolore televisivo o da professionisti in cerca di ribalta da piccolo schermo: “In realtà la nostra porta è sempre aperta a chi vuole impegnarsi. Chiaro è che compito del direttivo è vigilare sull’operato dei volontari, sia professionisti che soci ordinari.
Nel reclutare volontarie e volontari dobbiamo essere sempre onesti nel ribadire che la nostra è una missione con il suo peso specifico, essendo un’associazione estremamente vicina al dolore. Da noi non ci si diverte di certo, ci muoviamo spessissimo in regime di emergenza, che ci porta, oltretutto, a sacrificare week end e festività. Per esempio, alcune sedi regionali hanno stretto partnership con altre realtà non profit dotate di attrezzatura per ricerche sul campo e questo ci permette di stare spalla a spalla con la famiglia dello scomparso. Una presenza vitale perché non c’è niente di più logorante di stare a casa, da soli, in attesa di notizie, credetemi”.
Un impegno spesso totalizzante, soprattutto per chi è passato dalla porta stretta del caro improvvisamente scomparso nel nulla: “Non tutti se la sentono di interfacciarsi con famiglie che hanno comunque delle aspettative dalla nostra associazione. Anche perché l’empatia è impossibile tacitarla. In molti casi di scomparsa confesso di aver vissuto proprio come se facessi parte di quella famiglia… ho pianto con loro, non ho dormito la notte e mi è capitato di essere così dentro all’attività di sostegno e supporto da sognarmi queste persone che avevo conosciuto solo in foto. E che si creda o meno a queste cose… tutte mi chiedevano una cosa in sogno, cioè il non dimenticarle. Ed è ciò che facciamo in associazione Penelope. Non le dimentichiamo”.