di Marco Bani – 20 novembre 2024

Titti Postiglione. Protezione civile fa rima con gioventù 

 Dalla scuola un grande aiuto in particolare con la nuova campagna “Io non rischio”

La protezione civile è l’insieme delle attività messe in campo per tutelare la vita, i beni, gli insediamenti, gli animali e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti dalle calamità. La definizione ufficiale, però, non rende il valore, l’abnegazione, l’amore che le persone con le divise blu mostrano durante le tante, troppe e ricorrenti, emergenze a cui il Paese è esposto, ancora più negli ultimi anni di eventi meteorologici estremi dovuti ai cambiamenti climatici in atto in tutto il pianeta.

In Italia la protezione civile non è un’articolazione della pubblica amministrazione, ma una funzione. All’attuazione delle attività provvede il Servizio nazionale, un sistema integrato composto da strutture pubbliche e private, centrali e territoriali, che operano per garantire la sicurezza in tutta la nazione.

VDossier ha intervistato Titti Postiglione, già vice capo del Dipartimento di Protezione civile, da un quarto di secolo attiva  nella struttura della presidenza del Consiglio dei ministri con una importante parentesi di quattro anni nel Dipartimento per la gioventù e il servizio civile. Partiamo proprio da qui.

Dal 2017 al 2021, lei vive un’importante parentesi professionale al Dipartimento per la Gioventù e il Servizio civile nazionale, dove si occupa di giovani e di progetti di cittadinanza attiva, con la gestione diretta di migliaia di enti del Terzo settore e di circa 40mila volontari. Che ruolo ha il volontariato nel mondo della Protezione  Civile e quale potrebbe essere una svolta per renderlo sempre più partecipe?

Sono stati quattro anni meravigliosi che mi hanno catapultato nello straordinario mondo del Terzo settore e del privato sociale. Un mondo vitale, appassionato, ricco di valori e di energie, una colonna portante del nostro Paese in cui la componente volontaria è fondamentale. Come lo è in ambito di protezione civile. Il volontariato organizzato è la linfa del sistema con un ruolo imprescindibile di cerniera tra le istituzioni e le comunità. La sussidiarietà orizzontale trova nel volontariato di protezione civile la sua massima espressione. Un volontariato sano, maturo, interlocutore, preparato e interessato, di tutti i soggetti che compongono il sistema, capace di guardare al futuro forte del suo passato e delle sue esperienze, interprete attento di una società in continuo cambiamento. La partecipazione ne è il tratto distintivo ma si può ancora crescere. Facendo in modo che sia ancora più protagonista nei percorsi di prevenzione, investendo sulla formazione e credendo fortemente nella co-programmazione, strumento straordinario di cooperazione alla pari tra istituzioni e settore civile.

Lei si è occupata anche di formazione e comunicazione, quanto è importante avere    una popolazione for-mata ed informata su come operare incaso di pericolo, è sufficiente quello che viene fatto o cosa si potrebbe fare per aumentare queste consapevolezze?       

È fondamentale. Già la legge 225 del 1992 riconosceva il ruolo del cittadino come centrale nel sistema di protezione civile e il codice del 2018 gli dedica un intero articolo, il 31. Un cittadino formato e informato che non solo conosca i comportamenti corretti da adottare in caso di emergenza, ma che sia consapevole e capace di compiere scelte quotidiane di riduzione del rischio. Sapere come è costruita la propria casa, indagare sui fenomeni pericolosi che possono interessa-re l’ambiente in cui si vive, investire sulla prevenzione, distinguere un’allerta da una situazione ordinaria, partecipare all’elaborazione del piano di protezione civile del proprio comune. E tanto altro ancora. Serve un approccio culturale nuovo ai temi del rischio. Ci stiamo lavorando senza sosta. Da tredici anni siamo impegnati nella campagna “Io non rischio – buone pratiche di protezione civile” che va precisamente in questa direzione. Bisogna avere costanza e tenacia, sono processi lunghi, per i risultati spesso bisogna attendere.  La scuola è una grande alleata. Che la protezione civile sia tra le materie dell’educazione civica è un’ottima notizia, dobbiamo puntare soprattutto sui ragazzi. Saranno loro ad aiutarci a costruire comunità più consapevoli, più attive e più solidali.  

Torniamo alle origini. Cosa l’ha spinta a entrare in una struttura dai compiti straordinari ma che richiede di misurarsi con emergenze totalizzanti, lasciando la sua passione per i vulcani?

In realtà, la passione per i vulcani, e per il Vesuvio in particolare, continua ad accompagnare la mia vita professionale. Ma oggi guardo ai vulcani, ai terremoti, alle alluvioni non solo con lo sguardo di chi vuole studiare i fenomeni, capirli e spiegarli, ma anche con la determinazione e l’impegno di chi vuole comprendere come ridurre il rischio ad essi associato. Prevedere e prevenire i rischi, questo il cuore della moderna protezione civile che nasce per costruire un sistema coordinato in grado di gestire le emergenze e che con il tempo, grazie all’intuizione di Giuseppe Zamberletti, si trasforma in quel Servizio nazionale quotidianamente impegnato per la sicurezza delle persone e dei territori. Oggi per me occuparsi di Vesuvio non è più soltanto studiare le sue ceneri e le sue pomici per ricostruire le eruzioni del passato, ma preoccuparsi di ciò che potrebbe determinare in futuro, lavorando nel “tempo di pace” sulla pianificazione di protezione civile, sulla comunicazione del rischio, sulla cultura della prevenzione.

Tutte le attività che ha gestito in prima persona, come il terremoto dell’Aquila del 2009, il drammatico sisma del Centro Italia nel 2016 e tante altre, intessute spesso di dolore e sofferenza, cosa le hanno lasciato? Non ha mai pensato di mollare tutto?

A ogni emergenza sono legati ricordi, immagini, storie. E ogni storia ha il suo carico di dolore, di fatica, che si rinnovano ogni volta, trasformandosi però in nuova energia e maggiore impegno. È come se ogni volta sentissi di dover fare di più anche nel ricordo di chi ci ha lasciato, di chi ha sofferto, di chi ha perso tutto. E ciò che fa la differenza non è sentirsi soli, ma essere consapevoli che si fa parte di una grande squadra che mette insieme saperi, competenze, esperienze diverse per raggiungere il comune obiettivo di soccorrere e assistere le comunità colpite da disastri. Avere accanto migliaia di professionisti e volontari che vivono la stessa missione dà coraggio e ti fa sentire più forte. I momenti di debolezza e di stanchezza sono però inevitabili e credo sia giusto avere rispetto delle proprie vulnerabilità e sapersi fermare quando si ha bisogno di prendere fiato. A me è successo dopo i lunghi mesi di lavoro per gestire l’emergenza ter-remoto del Centro Italia. Nel giugno del 2017 ho lasciato temporaneamente il Dipartimento della protezione civile con l’idea di fare “prevenzione” su me stessa, nel tentativo di recuperare forze ed energie con una vita più ordinata, non ne-cessariamente in prima linea. Ci sono riuscita e il mio periodo di lavoro al Servizio civile è stata un’esperienza meravi-gliosa a cui devo tanto. 

Tra i tantissimi interventi che l’hanno vista protagonista nella sua carriera quale è stato il più difficile e il più sofferto, quello che l’ha impegnata di più sul piano professionale, umano ed emotivo.      

Ogni emergenza ha la sua connotazione, caratteristiche proprie che la rendono unica e pertanto indimenticabile. E inevi-tabilmente a ciascuna emergenza sono associate sofferenze con cui bisogna fare i conti. Tra le tante esperienze vissute, quella che continua a bruciare più di tutte è il terremoto di San Giuliano di Puglia del 31 ottobre 2002, in cui morirono sotto il crollo di un solaio 27 bambini e una maestra della scuola Francesco Jovine. Quelle piccole bare bianche in fila ai funerali sono un’immagine che non mi ha mai più abbandonato. Ero giovane, si trattò della mia prima esperienza nella gestione di un terremoto, tutto quel dolore mi investì drammaticamente. Quel lutto ha segnato un momento importante nella storia della protezione civile. Finalmente si arriva alla classificazione sismica di tutto il territorio italiano e vengono adottate nuove norme per le costruzioni in zone sismiche. Si rafforza, cioè, l’attività di prevenzione con un’attenzione particolare alle scuole e alle strutture strategiche. 

Alla luce della sua esperienza con i giovani quali sono gli strumenti attualmente in essere e quali nuove leve potrebbero essere attivate per far conoscere il volontariato di protezione civile ai ragazzi, per creare così una cul-tura della solidarietà tra i giovani?

Sono convinta che i giovani di oggi come quelli del passato siano animati da grandi passioni, entusiasmo, generosità e voglia di dare. Si tratta di intercettare tutta questa energia e provare a renderla compatibile con il mondo del volontariato organizzato di protezione civile. Per farlo occorre mettersi in discussione, attivare l’ascolto, imparare nuovi linguaggi, essere disponibili a cambiare approcci e metodi per essere realmente inclusivi. Non basta raccontare la bellezza del nostro volontariato per fare innamorare i giovani. Serve aprirsi al confronto, adattarsi al cambiamento, non avere paura di scardinare vecchi modelli e procedure, che è vero hanno sempre funzionato, ma potrebbero non essere più attuali e funzionali per i giovani di oggi. Che sono giovani inevitabilmente diversi da quelli che eravamo noi: si pensi solo al rapporto con il territorio. Noi eravamo prevalentemente stanziali, oggi i ragazzi sono cittadini del mondo, per loro è più difficile entrare in un’associazione e rimanerci per la vita, garantire un impegno continuo che pure è una caratteristica fondante del nostro volontariato. Io sono fiduciosa, sapremo trovare una nuova strada che faccia tesoro del nostro passa-to, ma sappia guardare al futuro con uno sguardo nuovo.

Sede Protezione Civile di Bertinoro – Forlì – Emilia Romagna © Andrea Angelini

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