Gentrificazione e turistificazione sono termini, purtroppo, sempre più utilizzati per fotografare la realtà delle città italiane, e non solo quelle più grandi. Mentre il secondo è facilmente comprensibile, i centri urbani si stanno spopolando per far spazio agli affitti brevi, ai bed and breakfast, all’uso delle abitazioni civili a fini turistici, il secondo è un po’ più complesso da interpretare ma forse più pericoloso. Deriva da un termine inglese, gentry relativo alla piccola nobiltà britannica. Lo ha coniato giusto 60 anni fa la sociologa inglese Ruth Glass ed è un processo relativo alla sociologia urbana, che può comprendere la riqualificazione e il mutamento fisico e la composizione sociale di aree urbane marginali, con conseguenze spesso non egualitarie sul piano socio-economico.
Se passeggiare per il centro storico, una volta, significava immergersi nell’anima vera di una città oggi si prova un senso di disorientamento ed estraneità. In mezzo a bistrot, tavolini, offerte per turisti di tutti i tipi e negozi in franchising, le città stanno diventando vetrine ben costruita per vendere tipicità e atmosfere che non ci sono più. Questo capita nel cuore di tante città italiane (ed europee) che soffrono di una trasformazione frutto del progressivo spopolamento unito al forte indotto economico derivante dal turismo.
Vivere sociale modificato
Una conferma viene data a VDossier da Giulio Gerbino, docente di Sociologia generale e di politica sociale all’università di Palermo, per il quale “gli esiti della pandemia non hanno modificato i tratti culturali di fondo del nostro vivere sociale. Il modello economico capitalistico non è stato minimamente messo in discussione, anzi. Non ci si è posti domande sul fatto se tale modello sia efficace e adeguato. Sono, invece, avvenute alcune trasformazioni economiche delle città verso il turismo. Per esempio, l’idea di affittare la propria casa come B&B (o come mille altre formule diverse dal tradizionale uso alberghiero) rende l’idea di quanto il meccanismo “mercantile” sia penetrato nelle esistenze, non solo a livello di politica economica dei governi e delle imprese, ma proprio delle persone. Ciò può avere dei risvolti positivi (magari si crea un’offerta ulteriore di ospitalità e a più basso costo), comporta però una trasformazione antropologica dei modelli di riferimento”.
Modelli che persino nella cultura vedono uno strumento di crescita economica e portano a far diventare la città una “merce” disponibile per il mercato globale del turismo.
Le città sono sempre più vittima del fenomeno della turistificazione che sottrae disponibilità di abitazioni. Sulla base dei dati elaborati da Halldis, operatore italiano specializzato nel settore, nel 2023 la richiesta di affitti brevi è aumentata del 15 per cento; dato che si innalza al 30 per cento per gli affitti a medio termine. Una tendenza di crescita che conferma e rafforza quella già registrata nel 2022. Mentre le richieste per il medio termine possono essere collegate alla mobilità lavorativa che caratterizza le giovani generazioni, gli affitti brevi sono da associare soprattutto al soggiorno turistico: un fenomeno che in Italia coinvolge 600mila abitazioni per un valore di 1,5 miliardi di euro.
Un processo analogo è la gentrificazione che consiste nel recupero di pezzi del centro storico per destinarli all’uso di utenti ricchi che, in questo modo, hanno la sensazione di vivere i “veri” umori della città, contribuendo invece all’espulsione verso le periferie degli abitanti originari più poveri o, semplicemente, meno ricchi di loro.
Nel complesso, dunque, “abitare la città” diventa sempre più problematico e chiama in gioco vari attori della vita sociale. Infatti, è una questione non solo economica, politico-amministrativa e di mercato, ma segna le vite delle persone, traccia confini e crea distanze nelle famiglie e nelle comunità, incide su interi tessuti sociali. La mutazione e la qualità delle nostre città passano da qui.
La questione casa
Stando a quanto emerge dal secondo Rapporto Federproprietà – Censis del 2023 (www.censis.it/economia/2°-rapporto-federproprietà-censis), arrivare a possedere un’abitazione in Italia è diventato sempre più difficile. Fra i possibili acquirenti, sei su dieci dichiarano che l’accesso alla prima casa è ormai un’impresa ardua, soprattutto per i tassi di interesse sui mutui. A soffrirne maggiormente le persone più giovani (62 per cento). Sulla stessa linea è buona parte delle opinioni di coloro che sono riusciti ad avere il mutuo e a comprare.
In particolare, al Centro (41,4 per cento) e al Sud (37,2 per cento) Italia si denota la maggiore difficoltà a onorare il pagamento delle rate. Non solo, la casa “pesa” anche mantenerla per tre italiani su quattro: condominio, utenze, tasse, manutenzione incidono molto sul budget familiare. La fetta di tale disagio sale all’80 per cento fra i nuclei meno abbienti. Insomma, gestire la casa è oggi più gravoso e averne la proprietà diventa un fattore di criticità, piuttosto che di tutela. Soprattutto nel nostro contesto nazionale, dove il 60,8 per cento delle persone a rischio di povertà possiede la casa in cui vive.
Se comprare stressa, fare gli inquilini oggi non è meno logorante. Uno studio, pubblicato nel 2024 da Immobiliare.it, rivela che in tutte le grandi città italiane l’affitto di un bilocale è quasi proibitivo per chi vive da solo. Supera il 30 per cento del suo reddito medio netto. Ad esempio, a Milano un bilocale costa in media 1.322 euro al mese, a fronte di un affitto sostenibile per un single di 652. A Catania, la richiesta per un bilocale è di 582 euro, l’affitto sostenibile 395. Ancora: Venezia canone 879 euro, sostenibile 433; Roma 899 contro 524; Napoli 855 euro contro 415. Fra tutte, Firenze segna lo scarto maggiore: 1.067 euro di canone medio e 480 di disponibilità. Nelle grandi città d’Italia, una persona sola deve impiegare il 50 per cento di risorse in più (se non anche il doppio) rispetto a quanto potrebbe realmente sostenere. Anche in coppia, comunque, le cose non migliorano di molto. Benché in due, si arranca a Milano, Firenze, Venezia, Napoli e Bari; si è in linea con la sostenibilità a Bologna e a Roma. Più tranquille le coppie in bilocale a Verona, Torino, Palermo, Catania e Genova.
Due casi emblematici, Milano e Venezia
Via Padova, una storica arteria di Milano, è da decenni uno dei simboli di tale trasformazione sociale e urbanistica delle città. Tradizionalmente abitata da diverse ondate migratorie, dalla migrazione interna del secondo dopoguerra ai flussi più recenti da Paesi esteri, questa zona rappresenta una delle aree più multietniche di Milano. Tuttavia, la strada sta affrontando un cambiamento significativo a causa dei processi di gentrificazione e delle crescenti difficoltà abitative, che stanno spingendo via gli abitanti a basso reddito. In risposta a questa situazione è nato il comitato Abitare in via Padova (https://abitareinviapadova.org), un’organizzazione che si batte per un’idea di città inclusiva e sostenibile, sia dal punto di vista abitativo che sociale.
La spinta iniziale è stata quella di sensibilizzare la popolazione e le istituzioni sulle questioni abitative attraverso presentazioni di libri, dibattiti pubblici e raccolte firme. Tra le prime azioni vi è stata una petizione per chiedere l’aumento dell’edilizia pubblica, l’inclusione di quote di edilizia sociale nelle nuove costruzioni e interventi sulle case all’asta. Tuttavia, la risposta delle istituzioni all’epoca è stata deludente: all’allora assessore comunale, che aveva minimizzato l’importanza del problema, il comitato ha risposto con una manifestazione che ha raccolto centinaia di persone, dimostrando che la questione abitativa non poteva più essere ignorata.
Come spiega a VDossier Angelo Savelli, membro attivo del comitato: “la gentrificazione ha espulso molte famiglie, studenti e lavoratori precari, che non possono più permettersi gli affitti della zona”. Questo ha portato a una crescente tensione sociale e a un impoverimento del tessuto urbano, dove i vecchi residenti vengono sostituiti da nuovi abitanti più abbienti, in un ciclo che sembra inarrestabile.
“Venezia è diventata un caso studio su come il turismo massiccio possa impattare negativamente sulla vita dei residenti”, dice a VDossier Remi Wacogne di Ocio, Osservatorio civico sulla casa e la residenza a Venezia (https://ocio-venezia.it). “Il fenomeno dell’affitto turistico ha portato a una crescente difficoltà per i cittadini nel trovare abitazioni a prezzi accessibili. I posti letto dedicati ai turisti hanno superato di gran lunga il numero di residenti, e questo ha trasformato la città in una sorta di parco a tema per visitatori”.
L’obiettivo di Ocio è raccogliere dati, discuterli, analizzarli e metterli sotto gli occhi di tutti. Una delle iniziative realizzate di recente è stata l’installazione di un contatore dei posti letto nella vetrina di una libreria in campo Santa Margherita. Non è un’idea completamente nuova, perché un contatore dei residenti esisteva già, installato dall’associazione Venezia.com, in una farmacia in campo San Bartolomeo. Confrontando i due contatori, che si basano su fonti ufficiali (Comune, annuario statistico regionale), si è potuto rilevare che nel 2023 il numero dei posti letto ha superato quello dei residenti. Un problema che si tende a negare o a minimizzare, soprattutto da parte delle associazioni che tutelano gli interessi delle locazioni brevi. Una delle cose che Ocio cerca di fare è distinguere tra la retorica della “sharing economy”, cioè chi riesce ad arrotondare a fine mese affittando un appartamento ereditato dalla zia o dalla nonna, e la concentrazione della rendita da parte degli alberghi. Questi ultimi, non potendo più espandersi a causa di una delibera comunale che in teoria vieta l’apertura di nuove strutture recettive, hanno trovato altre soluzioni. “Ci sono intere calli, vicoli, dietro agli alberghi che, di fatto, sono condomini trasformati per le locazioni brevi”, dice ancora Wacogne, “Ocio, pertanto, cerca di mostrare questa fenomenologia della locazione turistica breve e fare chiarezza”.
Vi sono piccoli e medi cittadini che affittano per integrare il reddito, altri che lo fanno come professione e poi vi sono anche multinazionali che possiedono edifici a uso residenziale utilizzati per gli affitti brevi, spesso aggirando le normative. Il raddoppio dei posti letto a Venezia è una cosa senza precedenti. È facile, per chi ha interessi nel settore, dire che lo spopolamento è un fenomeno vecchio e che loro non c’entrano, ma non è così. Prima dell’avvento di siti web specializzati, questo tipo di locazioni non esisteva. C’erano le seconde case, sì, ma non c’erano le piattaforme online che hanno reso possibile questa trasformazione.
Problemi e rimedi. Iniziative pubbliche e interventi del Terzo settore
Di fronte alla complessità dei fenomeni legati alla casa e all’abitare, le risposte approntate dalle politiche pubbliche e dai privati sono nel segno dell’ambivalenza e, spesso, della contraddizione. Tuttavia, occorre segnalare una tendenza. Tanti Comuni negli ultimi anni hanno tentato, in modo più o meno efficace, la creazione di agenzie sociali per la casa, a sostegno delle persone e dei nuclei familiari più svantaggiati. Ma c’è chi si è spinto più in là. Un esempio è l’impegno dell’amministrazione comunale di Torino (www.comune.torino.it/torinogiovani/vivere-a-torino/housing-sociale) che in collaborazione con vari soggetti e con enti del Terzo settore mette in campo una serie di proposte e di alternative per chi ha bisogno di abitare o soggiornare in città. Il capoluogo piemontese investe sull’housing sociale, cioè su “interventi nell’ambito del mercato immobiliare, realizzati con l’obiettivo di contribuire alla diffusione di una nuova cultura dell’abitare”. Con varie formule che vanno dalle esperienze abitative condivise (cohousing) alla coabitazione solidale, dai condomini solidali alla coabitazione giovanile e alle agevolazioni sull’affitto. I principali destinatari sono persone che cercano abitazioni temporanee, come lavoratori o studenti fuori sede, oppure soluzioni alternative al caro-casa e al caro-affitti (famiglie con una vulnerabilità sociale o economica). Un’esperienza analoga l’ha avviata anche il Comune di Palermo.
Tutto questo avviene con l’impegno, l’innovazione e l’azione di tanti volontari, enti no profit e del Terzo settore torinesi, senza i quali non sarebbe possibile. È il segno di quanto il “privato sociale”, la società civile organizzata italiana, riesca a ideare approcci alternativi che generano soluzioni nuove e un cambiamento culturale.
Su quest’ultimo aspetto appaiono eloquenti i dati che emergono ancora dal già citato rapporto Federproprietà-Censis 2023. Gli italiani interpellati sono propensi a soluzioni abitative nuove proprio come il social housing.
Non arrendersi all’ineluttabilità. La casa e l’abitare come diritto per tutti
Interventi e soluzioni innovative, però, non invertono i processi in atto. Anzi, potrebbero avere l’effetto di “ridurre il danno”, di alleviare in parte le difficoltà di chi è escluso dal diritto alla casa e di agevolare l’affermarsi del fenomeno dei city consumers o della città-merce come ineluttabile e portatore di vantaggi più che di svantaggi. Pertanto, quella dei volontari e degli enti no profit appare a un primo sguardo come una battaglia di retroguardia, conservatrice e antimoderna; cavalieri vestiti di latta che si mettono di traverso rispetto a un processo irreversibile che ha un grosso indotto economico. Una obiezione alla quale Paolo Gelsomini, dell’associazione Progetto Celio di Roma, ribatte: “Si potrebbe discutere a chi porta benessere economico. Per le strade del nostro quartiere, il Celio, le uniche professioni che sopravvivono sono solo quelle del turismo: camerieri, personale di albergo… e cala di molto la qualità del lavoro. Si tratta di sottoccupazione, sono pagati male. In queste condizioni, si può parlare di dignità del lavoro? Statisticamente l’occupazione magari cresce nei numeri, ma a fronte di quale livello di qualità e di rispetto/tutela del lavoratore? Inoltre, non ci opponiamo al turismo. Sarebbe sciocco. Per il territorio è un benefit. Contestiamo l’iper-turismo mordi e fuggi e cerchiamo di proporre delle alternative per un turismo che offra un approccio diverso alla città”.
In tale prospettiva, i volontari della sua associazione organizzano momenti culturali e di comunità per chi abita il quartiere (residenti o turisti che siano), sottopongono all’amministrazione comunale possibili interventi sulla circolazione dei mezzi turistici, partecipano alla progettazione e realizzazione del Parco del Celio all’interno del più ampio progetto di riqualificazione di tutta l’area archeologica centrale di Roma. Insomma, non si rassegnano all’ineluttabilità, ma partecipano e “fanno politica” per porre le fondamenta di una Urbs che sia città delle persone e delle relazioni.
Ancora più concreto è quanto fa la cooperativa DarCasa (https://www.darcasa.org) che a Milano, nel 1991, nasce con l’obiettivo di fornire alloggi a costi accessibili per le famiglie migranti presenti nel capoluogo lombardo in modo consistente. I fondatori volevano creare un’organizzazione che fungesse da impresa sociale, sostenibile, con un forte impatto sociale, in risposta all’assenza di politiche pubbliche adeguate a queste specifiche categorie e, più in generale, per le persone in difficoltà economica. Negli anni, si è deciso di aprire la cooperativa anche agli italiani, mantenendo però un forte legame con la comunità straniera. Infatti, “dar” in arabo significa “casa”, e la maggior parte dei soci proviene da contesti stranieri.
“Attualmente, gestiamo circa 400 appartamenti”, spiega Sara Travaglini, presidente della cooperativa, “che corrispondono a oltre un migliaio di persone. Le nostre famiglie sono spesso numerose e provengono per lo più da contesti stranieri, ma abbiamo anche famiglie italiane e alcuni single, mentre pochi sono anziani. Abbiamo anche un progetto dedicato ai giovani lavoratori e studenti, tutti con redditi medio-bassi. Inoltre, facciamo gestione immobiliare per terzi, il target è quello del social housing, rivolto a famiglie con requisiti per l’edilizia convenzionata, che pur non essendo fragili come i soci della cooperativa, incontrano comunque difficoltà ad accedere al mercato immobiliare di Milano, che è diventato molto difficile. Quello che ci distingue da un’impresa immobiliare tradizionale”, continua Travaglini, “è sicuramente il nostro forte impegno sociale. I nostri soci sono persone con fragilità economiche, e non discriminiamo nell’accesso alle abitazioni. Il nostro è un modello di gestione differente, che integra la gestione immobiliare con l’attenzione sociale, un approccio che speriamo possa estendersi anche all’edilizia pubblica, ponendo l’abitante al centro delle nostre azioni”.
Volontariato e Terzo settore per una nuova visione della polis
L’impegno sulla casa da parte dei volontari, degli enti di Terzo settore e del non profit, non è sbarrare la strada al “progresso”, ma un’offerta politica di analisi e proposta, mobilitazione di energie attorno a nuove visioni e prospettive. Come nel caso della rete Set – Rete di città del Sud Europa di fronte alla turistificazione nata nel 2018. Oppure il Social forum dell’abitare che muove i primi passi nell’aprile 2024 a Bologna, una rete di circa duecento organizzazioni nazionali e locali e di cittadini. Lo scopo è proporre, a opinione pubblica e amministratori politici, analisi e proposte sul diritto alla casa e, più in generale, sulla ridefinizione di città e piccoli centri in funzione dei bisogni delle persone e della sostenibilità ambientale.
O, ancora, l’associazione Nonna Roma con il dossier Di casa a Roma. Un’indagine sull’abitare (nonnaroma.it/wp-content/uploads/2024/04/Di-Casa-a-Roma-Nonna-Roma.pdf) presentato ad aprile 2024 e redatto con il contributo di numerosi esperti e organizzazioni che si occupano del diritto all’abitare. Il documento ha un’ampia parte, rivolta sia ad amministratori nazionali che locali, sulla possibile regolamentazione del mercato degli affitti abitativi e degli affitti brevi, sull’implementazione di strumenti innovativi quali le Agenzie sociali per l’abitare, su un nuovo approccio al welfare abitativo e agli strumenti di prevenzione dell’emergenza abitativa.
Dal suo canto, “il Social forum dell’abitare”, racconta Stefano Trovato, componente del coordinamento nazionale del forum e componente dell’esecutivo nazionale del Cnca, “è uno spazio orizzontale di condivisione dove ognuno conta e costruisce i propri posizionamenti attraverso un consenso, senza divisioni. Benché si componga di molte organizzazioni, anche grandi e importanti, ognuna di esse sa che non può illudersi di essere il mare, piuttosto rappresenta una piscina. Il tentativo è quindi di unire queste piscine, almeno nel pensiero e, se possibile, anche nell’azione, affinché il tema dell’abitare torni al centro delle politiche pubbliche di questo Paese”.
Ecco perché il comitato promotore del social forum, nel documento di convocazione, propone un’analisi articolata che sfocia in una serie di prospettive e di ipotesi operative. Innanzitutto, evidenzia l’egemonizzazione del mercato della casa da parte di piccoli e grandi proprietari che trasforma le città in due luoghi contrapposti: un centro per lo più “in affitto”, vissuto da una classe medio-alta sempre più internazionalizzata; una periferia in continuo ampliamento, giovane, con flussi di migranti, scarsa scolarizzazione e basso reddito. Nel complesso, una condizione senza futuro, di progressivo degrado sociale e insostenibile, che dietro l’apparenza di una città moderna, smart ed elegante, cela differenze e fossati sempre più profondi. Tutto ciò porta con sé problemi di natura generale anche per la politica e le sue capacità di governo. A tal proposito, il comitato indica una traiettoria ben precisa: “Rimettere le città con i piedi per terra significa innanzitutto riconoscere i diritti degli individui e delle comunità di essere parte e non pària, inclusi nei processi partecipativi reali e non marginalizzati, restituiti al diritto di parola e non più senza voce. Una nuova idea del rapporto con le comunità cittadine su cui riscrivere un patto di cittadinanza fondato sul diritto all’abitare, come volano per le politiche urbane”.
Prospettiva che non rimane astratta, ma si concretizza in percorsi ed esperienze grazie ai volontari e alle loro organizzazioni. Come la rete palermitana Apriamo le porte, l’affitto un diritto di cui parla Roberta Lo Bianco di Moltivolti. Creata nel 2022, dalla collaborazione fra enti non profit, si prefigge di sensibilizzare i proprietari a dare disponibilità di affitto alle fasce deboli della popolazione. Organizza incontri nei quartieri, nelle parrocchie, nelle associazioni, poiché molto spesso le persone non sanno qual è la situazione e magari, conoscendola, si convincono ad affittare senza problemi. In un primo momento, la rete faceva anche da garante per gli inquilini a rischio di insolvenza, ma adesso tende a puntare sull’autonomia e a facilitare semplicemente il rapporto di fiducia fra proprietario e aspirante inquilino. Di storie Roberta Lo Bianco ne potrebbe raccontare tante e per questo conclude amara: “In varie parti d’Italia e d’Europa, si sta scegliendo quali classi sociali debbano abitare quali zone della città. Un meccanismo che relega fasce della popolazione nelle zone periferiche, quasi ghettizzate. Non si fa altro che aggiungere disagio a disagio; invece, solo l’integrazione e la mescolanza assicurano un certo tipo di società. Se metti tutti fuori e pochi al centro, non è detto che la città diventi più ricca, di sicuro diventa più pericolosa”.